Equipe pastorale… in ascolto

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25. Settembre, 2021Senza categoriaNo comments

I sigilli, i cavalieri e la preghiera dei martiri

L’ascolto di Dio, del proprio cuore e dell’umanità

Dal libro dell’Apocalisse 6,1-11

Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». 2 Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.

3 Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». 4 Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.

5 Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. 6 E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».

7 Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». 8 Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.

9 Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. 10 E gridarono a gran voce:

«Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace,

non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue

sopra gli abitanti della terra?».

11 Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco

Meditazione

Dopo che Giovanni, presbitero di una comunità, martoriata dalle persecuzioni e da divisioni e lotte interne, si mette in ascolto della voce di Dio che lo invita – nel giorno del Signore, in domenica, evidentemente dopo la celebrazione eucaristica – a “trascendere”, cioè a ricercare in una preghiera più profonda un contatto poi reale con Dio – sali quassù, che fai laggiù ? –  comprende nella visione del rotolo della vita, sigillato, che: la storia umana non può essere compresa dalla stessa umanità senza Dio, senza la luce del Cristo risorto. 

La “spiegazione” dei grandi perché è in Dio, come il rotolo della storia è nelle sue mani e, soltanto colui che è l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo – l’Archetipo e la Meta per cui siamo stati creati – ne è il possibile interprete che può illuminare gli uomini; Giovanni scrive al gruppo di ascolto (anche a noi), l’esperienza di fede che può farci vedere la (nostra) storia diversamene e positivamente da come noi la vediamo. Già il fatto che la vittoria del bene sul male e, la possibilità dell’interpretazione sia data ad uno simile ad Agnello come sgozzato (immolato), cioè a Cristo morto e risorto, ce la dice lunga su come il mondo pensi e viva… Il pianto (di Giovanni) dell’umanità, prima che sul piano operativo sulla storia, è sul piano interpretativo: cosa succede? Perché succede? La non conoscenza, ancor più la impossibilità di consapevolezza, porta l’umanità alla paura: dobbiamo avere l’umiltà di accettare che l’umanità non sa darsi spesso e volentieri risposte esaustive e spesso neanche tentarle… Solo l’Agnello immolato, cioè alla luce del Cristo morto e risorto, possiamo cominciare a comprendere qualcosa: è Lui che apre il libro interamente letto ma pienamente sigillato da sette sigilli. 

Ci soffermiamo solo sui primi cinque sigilli.

I primi quattro aprono ad una riflessione sapienziale – cioè una conoscenza fatta alla luce della preghiera in Cristo risorto e alla luce della Sacra Scrittura – sullo svolgimento delle vicende umane sotto l’influsso divino e presentano il confronto continuo tra il Bene ed il male. Nella storia si muovo alcune forze negative: la guerra e le liti, le forme di carestia e di povertà, la morte interiore e quella fisica, alle quali, è contrapposta, una forza positiva e definitiva di Cristo morto e risorto. 

La visione dell’apertura dei sigilli è sempre scandita dall’ udii. C’è questo continuo invito all’ascolto. Aprire l’orecchio per ascoltare Dio che,  come a Giovanni, deve mostrarci delle cose; aprire l’orecchi per l’ascolto del grido della violenza che è dentro e fuori di noi, senza paura; l’ascolto del grido dei poveri vittime della ingiustizia sociale; l’ascolto del grido della sofferenza e del lutto che si alza dentro e fuori di noi. Puntuale nell’apocalisse è sempre l’invito accorato di Dio ad ascoltarLo, ad ascoltare il nostro cuore e ad ascoltare l’umanità. 

Il primo cavaliere riconosciuto solennemente dalla corona che riceve, dall’arco che rappresenta il giudizio e dal cavallo bianco della resurrezione: rappresenta la presenza nella storia di Cristo nel mondo. Questo primo sigillo non presenta la vita dei trentatré anni di Gesù di Nazareth, ma la presenza storica di Cristo nel mondo dopo la sua morte e resurrezione, presente fino alla fine dei tempi – ecco io sono con voi fino alla fine del mondo – che infonde nei credenti, chiamati a vivere ciascuno nel proprio tempo, la capacità di discernere il bene dal male, di affrontare il male in tutte le sue manifestazioni fini al superamento definitivo. In pratica, l’oggi del cavaliere bianco, è il cristianesimo che si muove  nel mondo con la capacità che Dio gli da di discernere il bene dal male e di portare la vittoria di Cristo operata con l’Amore.

Il cavaliere rosso fuoco richiama con il suo colore la forza diabolica che attraversa la storia, assecondata da tutti coloro che si arrogano il diritto di togliere l’armonia nel creato tra gli uomini, che minano alla serena convivenza nell’ umanità con la violenza omicida e fratricida, violenza organizzata o privata, di coloro che si rendono incapaci di rapporti autentici minando sempre la pace con l’ira e le minacce… la violenza è permessa da Dio, secondo il disegno di libertà che è proprio della creazione e della scelta umana del bene o del male. Il peccato più grande da riconoscere è prima e innanzitutto questo perché mira contro la stessa essenza di Dio: l’Amore.

Il cavaliere nero indica una negatività radicale, si nota un’ingiustizia macroscopica: all’esborso di un denaro viene corrisposta soltanto la dodicesima o l’ottava parte del dovuto. Ciò rende la vita praticamente impossibile a chi vuole mantenersi con il proprio lavoro. Il cavaliere nero sarà ingiusto con lo scambio del grano e dell’orzo a danno delle persone più povere, ma nella pesa non dovrà danneggiare il vino e l’olio a salvaguardia delle persone più benestanti: l’ingiustizia sociale! 

<<La divisione del mondo in zone di benessere e in zone di miseria… è l’agonia di Cristo oggi. Il mondo infatti è composto di due stanze: in una stanza si spreca e nell’altra si crepa; in una si muore di abbondanza e nell’altra si muore di indigenza;

in una si teme l’obesità e nell’altra si invoca la carità.

Perché non apriamo una porta? Perché non formiamo una sola mensa?

Perché non capiamo che i poveri sono la terapia dei ricchi?

Perché? Perché? Perché siamo così ciechi?

Signore Gesù, l’uomo che vive per accumulare

Tu l’hai chiamato stolto!

Sì, è stolto chi pensa di possedere qualcosa,

perché uno solo è il Proprietario del mondo.

Signore Gesù, il mondo è tuo, soltanto tuo.

E Tu l’hai donato a tutti affinché la terra sia una casa che tutti nutre e tutti protegge.

Accumulare, pertanto, è rubare se il cumulo inutile impedisce ad altri di vivere.

Signore Gesù, fa’ finire lo scandalo che divide il mondo in ville e baracche.

Signore, rieducaci alla fraternità.>> (Angelo Comastri, commento VI stazione Via Crucis, Colosseo 2006).

Il cavaliere verde putrefazione è colui che porta la morte. Morte intesa come morte vera e propria, morte intesa come incapacità del male naturale che si accanisce sul cosmo e sul corpo umano, morte intesa come morte interiore morale e psicologica… il verde nell’Apocalisse rappresenta la putrefazione ma anche la speranza perché Cristo ha vinto la morte, ha vinto ogni morte. Davanti alla peste, alle malattie, alle carestie e da tutto ciò che viene a portare la morte dalla natura ci chiediamo: <<è ancora possibile credere che una divinità buona diriga il corso delle vicende umane? … una divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile. Ci sono dei momenti di profonda oscurità, nella vita di un uomo o di una donna, in cui Dio ci appare come un nemico che ci perseguita e ci vuole uccidere. Eppure, per quanto possiamo essere feriti e azzoppati da questa paradossale colluttazione, la nostra disperazione è più forte di Lui e lo “costringe” a benedirci. Dio si lascia vincere dalla sua creatura. Alla fine Dio è nel silenzio. Ci riporta alla regalità di Cristo Crocefisso. Eppure questo “svuotamento” non implica, in realtà, la rinuncia di Gesù alla sua regalità e, più profondamente, alla sua divinità. Anzi, nei vangeli la croce diventa l’autorivelazione e l’autodefinizione insuperabile di Dio. 

Bisogna ricordarsi di questo quando ci si chiede, di fonte allo spettacolo tremendo del male: dov’è Dio? Forse non lo vediamo perché guardiamo dalla parte sbagliata, verso l’alto, da dove ci sa aspettiamo che arrivi il suo intervento liberatore, invcece, è davanti a noi. La crocifissione. È un nuovo concetto di onnipotenza, adeguata a un Dio che la esercita spogliandosi di se proprio per esser se stesso, pienezza di amore: Dio è amore>> ( Giuseppe Savagnone, il miracolo e il disincanto, EDB 2021). 

Proprio per questo all’apertura del quinto sigillo, la visione, diventa più realistica e liturgica. I martiri,  coloro che crocefissi nella sofferenza, testimoniano comunque la fede in Cristo morto e risorto, gridano verso Dio: fino a quando? È una preghiera gridata non solo da un singolo, ma da una intera comunità di martiri facendo pressione su Dio lo spingono a fare qualcosa, a reagire, in un certo modo, perdonando o intervenendo, secondo il contesto specifico. Fino a quando? È anche il nostro urlo comunitario quando il nostro equilibrio è turbato dal peccato, dall’ingiustizia sociale, dalla sofferenza e dalla morte. Dio reagisce con il dono personale di una veste bianca (segno della resurrezione di Cristo partecipato ai credenti) e con un chiarimento. Il ritardo divino è in funzione di una pienezza che si realizza solo gradualmente, non emotivamente all’istante, ma nel tempo necessario a far maturare in noi e, intorno a noi, la grazia di Dio di un rinnovamento interiore ed esteriore e la resurrezione. Su questi martiri che gridano verso Dio la preghiera comunitaria, fino a quando: si proiettano tutte le preghiere dei viventi sconcertati di fonte alla sofferenza e alla negatività che sono obbligati a constatare. 

Ancora una volta la fede ci richiede di lasciar fare a Dio, di affidarci a Lui e testimoniare la fede nonostante le sofferenze, a non aspettarci niente dagli altri ma a rimanere nell’attesa dell’azione provvida e al tempo e modo stabilito da Dio. 



Il libro della Storia, l’Agnello, la vittoria e le preghiere dei santi

 

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Dal libro dell’Apocalisse 5,1-8

E vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo. Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo. Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli».

Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l’Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno un’arpa e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi.

 

MEDITAZIONE

Nella visione domenicale, ricordiamo, Giovanni, dopo la celebrazione eucaristica, va in estasi e diventa forte la voce di Dio:   Vieni quassù (che stai a fare laggiù?)… devo mostrarti delle cose… (Ap 4,1). L’invito per noi a lasciarci “trascendere” da Dio, cioè a vedere le cose dal suo punto di vista, come dall’alto, da una angolazione spirituale distogliendoci un poco da esse… Vedere le cose, nella preghiera, belle e brutte della vita, spostandoci un po’ dall’alto…

 

Il contesto storico della preghiera estatica di Giovanni, non è un ambiente calmo e tranquillo di autotrascendenza, anzi avviene in tempo di forti persecuzioni e scontri comunitari interni molto violenti; è Dio che porta per mano l’autore dell’Apocalisse a fare una esperienza interiore – piena di simboli (ebraici e pagàni) – che possano aiutare Lui e il Gruppo di ascolto (coloro per cui ha scritto) a vivere le vicende storiche alla luce di Cristo morto e risorto. Ricordiamo l’annuncio iniziale e finale dell’apocalisse: Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio (l’Archetipo) e la fine (la conclusione da raggiungere) (Ap 22,13)… Colui che è,  che era e che viene, l’Onnipotente (Ap 1,8): il Signore è storicamente da sempre prima di noi e anche sarà dopo di noi, siamo stati creati a Sua Immagine e chiamati a diventare come Lui: morti e risorti. Per cui l’Apocalisse è un grande annuncio Kerigmatico fatto al nostro cuore di vivere prendendo coscienza della grandezza di Dio, del Suo essere Creatore della vita e Redentore dalla morte, l’Onnipotente.

 

Sul trono di Dio, con tutta la sua bellezza e la sua liturgia che si svolge intorno, che ricordiamo indica la bellezza della Presenza di Dio e che la vita cristiana è comunitaria e questo rafforza il nostro cammino, sta uno che ancora è indefinito: e vidi sulla destra di Colui che era seduto sul trono un rotolo scritto dentro e sul retro sigillato (Ap 5,1). Colui, che poi è il Signore, lo si conoscerà progressivamente sia nei suoi aspetti enigmatici (fatto di aspetti addirittura contraddittori), sia sul piano della Misericordia, della grazia e della salvezza.

Comunque il rotolo (o libro) esige di essere letto, ma è completamente inaccessibile; è scritto dentro, sul retro e fuori, non c’è più spazio per aggiungere nulla, non ci sono più spazi vuoti: tutto quello che riguarda l’umanità, e la sua storia, è determinato completamente e con esattezza. Ne deriva una pressione fortissima verso la lettura, per comprendere il senso delle vicende umane. La storia, la nostra storia, in realtà non è già scritta in un destino oscuro… Dio vive e vede la storia come un eterno presente, ed esprime su di essa un giudizio valutativo che è sempre “azzeccato” in quanto Dio. L’uomo vorrebbe essere il protagonista della storia o della sua stessa storia, ma si accorge che  non riesce ad esserlo, l’uomo non ha il dominio attivo sulla storia e sulla propria storia almeno in senso pieno, anzi ci troviamo ad un certo punto, nel testo, davanti alla scena celeste drammatica; il pianto dell’autore Giovanni è copioso, intenso, prolungato e costituisce il culmine emotivo della situazione negativa. Quale oggi la mia situazione negativa? Questa accentuazione sul testo corrisponde sia alla presa di coscienza di tutta la vicenda umana, dei suoi interrogativi, delle sue aspirazioni e contraddizioni, sia al vuoto provocato dallo smarrimento dell’uomo che cerca invano di dare un senso alla sua esistenza e ai fatti di cui è testimone e protagonista, il senso della storia rimane chiuso nella trascendenza… L’umanità non è in grado spesso di dare risposta alla domanda esistenziale che spesso poniamo davanti a certi eventi e situazioni: perché succede questo? Perché è così….? Dove ho sbagliato? Dove c’è stata la causa…?

Se non siamo figli di un destino oscuro, allora siamo Figli di Dio in Cristo morto e risorto, cioè: abbracciamo umilmente la drammatica posizione umana di non saper dare una risposta a tutto… e aprirci al mistero luminoso di Dio che splende in Cristo morto e risorto! Mettere nelle mani di Dio quello che non va, ciò che non possiamo cambiare, ciò che ostinatamente ci fa male ma non possiamo farci niente; mettere nelle mani di Dio, con fiducia, i drammi della nostra storia con la speranza certa che – come apocalisse afferma – il Signore ha già vinto! Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli (Ap 5,6).

Ci aiuta un brano tratto dal Vangelo di Luca, dove una lettura più profonda ci apre e ci aiuta all’atto di fede più grande: Gesù vede ciò che succede, Gesù sente il pianto disperato, Gesù ha compassione, Gesù tocca la morte e da essa né trae una vita rinnovata; rileggiamolo. In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». 15 Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre (LC 7,11-15).

 

Il gruppo di ascolto allora deve poter accettare insieme a Giovanni che l’umanità non è capace di dare un senso – o meglio il senso – della vita. Ogni volta che noi uomini e donne di ogni tempo vogliamo dare un senso alla nostra storia, falliamo clamorosamente nel momento in cui ne lasciamo Dio fuori… Allora non comprendiamo…

Siamo chiamati con l’autore dell’Apocalisse e il gruppo di ascolto ad avere l’umiltà per accettare che: non possiamo dare una spiegazione al senso della vita spesso e volentieri, che questo dramma però, se vissuto nella fede comunitaria, ci fa fare un passaggio importante… Colui che sedeva sul trono non è più una figura generica, ma ha un aspetto di un Agnello come immolato (sgozzato, martorizzato, assassinato) ma ritto in piedi perché risuscitato. Un simbolo reale e contraddittorio: l’Agnello possiede la pienezza della forza aggressiva messianica (sette corna), necessaria per combattere e vincere le forze del male; possiede anche la pienezza dello Spirito (sette occhi), che viene inviato agli uomini per raggiungerli con la pienezza dei suoi doni. Ma questa vittoria l’ha conquistata con la forza della debolezza: maltrattato non si lasciò umiliare e non apri la sua bocca: era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non apri la sua bocca (Is 53,7). Spunto ispiratore, apre l’immagine dell’agnello pasquale ucciso, mangiato e il sui sangue viene utilizzato sugli stipiti delle porte (Es 12,1-27); globalmente costituisce il simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Nel quarto Vangelo, il Battista riferendosi al Gesù che passa dice: ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29).

 

L’Agnello già si trova in mezzo al trono, occupa cioè una posizione centrale nel governo di Dio sulla storia. C’è stato perciò un movimento che ha portato Gesù Cristo a essere l’Agnello al livello del trono: è stata la sua vittoria sulle forze ostili riportata mediante la passione e la morte e quindi poi la resurrezione. L’Agnello perciò diventa il responsabile unico del rotolo: Cristo che ha sofferto, è morto ed è risorto è l’unico che può dare un senso alla  vicenda umana.

La sofferenza, la morte e la resurrezione di Gesù, è una unica realtà, che non rimane soltanto un evento storico temporale riguardante quei tre giorni famosi di duemila anni fa circa, ma ci raggiunge illuminando e dando un senso alla nostra sofferenza, alla nostra morte e aprendoci alla resurrezione.

Perciò nonostante il pianto drammatico della non comprensione della storia con le sue sofferenze e la morte, la fede rafforzata nella e dalla comunità cristiana, diventa possibilità di guardare avanti perché: è l’Agnello immolato che vince, perché è il sacrificio, vissuto in Dio, che ci renderà la vittoria!

 

Le preghiere dei santi, che vengono accettate da Dio che le “inala” come l’incenso, ci apre con speranza e fiducia all’opera del Cristo agnello rispettandone i suoi tempi e le sue modalità: l’atto di fede sta proprio nel credere che Dio già sta operando nella storia umana, nella nostra storia, grazie alla nostra preghiera incessante… ma nell’accettare che Dio ha la visione completa della storia e della nostra storia e, sa come e quando intervenire e, in che modo farlo.

Nell’Agnello la possibilità di comprendere la storia umana e di salvarla. Ecco perché Paolo VI amava dire: Tu, Cristo, mi sei necessario!

 


Una voce, la porta e il trono.

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Dal libro Apocalisse 4,1-7.

[1]Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito. [2]Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c’era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. [3]Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono. [4]Attorno al trono, poi, c’erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo. [5]Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. [6]Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e di dietro. [7]Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola.

Meditazione

Sappiamo che Giovanni, autore dell’apocalisse, entra in estasi durante la preghiera nel giorno del Signore, cioè in domenica. Evidentemente l’autore vive una esperienza interiore e mistica della Eucaristia domenicale appena successa, perciò tutta l’apocalisse sembra una liturgia celebrata tra il cielo e la terra; dove ricordiamo la terra essere simbolo del mondo immanente, quello degli uomini e della natura e, il cielo, simbolo del mondo spirituale, quello di Dio. L’esperienza di Giovanni, seppur personale, è una esperienza comunitaria sia di esseri terrestri che celesti: l’esperienza di Dio è esperienza liturgica comunitaria, domenicale. La nostra “forza” spirituale sta, oltre che nella tenacia di seguire il Signore, nel vivere la Chiesa come comunità.   Siamo chiamati a ripensare a come viviamo la domenica, ma anche se la nostra vita e la nostra fede è domenicale: cioè nella fede del Cristo risorto. Noi spesso pensiamo che quella porta per arrivare a Dio sia chiusa, o che Lui la abbia chiusa o socchiusa. Quante volte sentiamo questa chiusura con Dio! Siamo noi che la chiudiamo nel nostro cuore escludendo Dio dal nostro quotidiano, escludendo la presenza della resurrezione della preghiera dalle nostre “morti” quotidiane. Peggio ancora è il senso di colpa:  che falsamente chiude la porta… Abbiamo bisogno di ricordare: che dopo il  diluvio, c’è sempre l’arcobaleno; che dopo la fuga da ciò che ci schiavizza, c’è sempre il mare aperto per passarlo; che la Presenza di Dio così alta e sublime, come i tuoni e lampi sul Sinai, stavolta non è solo per Mose’ ma è per ciascuno di noi! 

Questa visione inizia con una porta aperta: l’uomo può raggiungere la presenza trascendente della divinità, Dio si fa raggiungibile; l’invito come a Giovanni, fatto a noi è: sali quassù! Cosa stai facendo ancora tra le cose della terra? Sei stato battezzato! Raggiungi Dio, almeno, per ora, nella preghiera e nella meditazione! Sali quassù! 

Nonostante l’assoluta sovranità di Dio indicata dal trono, dalla sua bellezza e da tutto ciò che gli sta intorno come in una liturgia di lode – e quanta poca lode e poco ringraziamento grato c’è nella nostra preghiera – e di attesa, c’è la volontà di Dio di comunicare all’uomo…: ti mostrerò delle cose…  Nel battesimo abbiamo già ricevuto la resurrezione di Cristo in noi, è alla luce di questa. Ne siamo chiamati a vivere e a muoverci, è alla luce della risurrezione che siamo chiamati a vivere i patimenti e la morte, è la resurrezione di Cristo la chiave della porta della comprensione della storia, della nostra storia, di qualsiasi storia esistita o ancora non esistente! La resurrezione di Cristo, presente nella Eucaristia consacrata in domenica, ci dona una luce di speranza contro ogni disperazione, ci invita a salire e trascende ad “un oltre” in cui c’è solo richiesta una respirazione a due polmoni: fiducia e disponibilità! 

Come Dio sancì l’alleanza con Noe’ dopo il diluvio con l’arcobaleno, la volontà di Dio è proprio quella di Un arcobaleno simile che possa segnare e significare un rinnovamento della nostra alleanza con Dio: Dio vuole rinnovare la sua alleanza con noi! Vuole rinnovare il rapporto tra te e Lui: perciò siamo chiamati a diventare un po’ più saggi al suo cospetto. Obiettivo di queste righe è una fede un po’ più matura, che sappia trascenderci nelle cose della vita per vedere alla luce del risorto quanto co accade, pronti a pregare ma anche a ringraziare per quando c’è di buono nella nostra vita. Siamo più portati, purtroppo, a vedere ciò che non va e lamentarci: apocalisse ci apre a questa speranza certa di resurrezione che ci fa vedere quanta bellezza c’è nella nostra vita ! 

Il testo è pieno di simboli, già in questi pochi versetti, presi dall’antico testamento e dalla cultura pagana: questo significa che l’incontro con Dio non è chiuso ad una élite di persone scelte, ma è per tutti, per ogni essere umano di ogni estrazione sociale e situazione della terra… Tutto il testo è in una situazione di celebrazione cosciente di un punto fermo: Cristo risorto e, anche, nell’attesa che la storia si compia (non finisca, ma si compia). Tutta l’apocalisse fino al penultimo capitolo vive nell’attesa: e adesso che succederà? Attendere l’azione di Dio dal cielo, senza aspettarsi nulla di ciò che viene da sulla terra significa: riporre la nostra speranza in Dio. 

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