Commento ai Vangeli del tempo di Pasqua

Commento ai Vangeli del tempo di Pasqua

14. Aprile, 2023News, PasquaNo comments

Commento

al Vangelo

del 21 Maggio



Ascensione del Signore

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
.


MEDITAZIONE

L’appuntamento con il Signore 

Gesù aveva loro indicato (ai discepoli) dove lo avrebbero incontrato risorto. È una frase del Vangelo con cui Gesù risorto ha dato appuntamento  ai discepoli per incontrarli e, quando ci si da appuntamento, si indica anche il luogo. Si può decidere di andare all’appuntamento, oppure decidere di non andare… Gli apostoli non sono più dodici, numero perfetto della “discepolanza”, ma sono undici perché, Giuda iscariota, aveva deciso di tradire Gesù e di scegliere di farlo morire consegnandolo e, poi, morire anche lui scegliendo il suicidio. Giuda non è mai andato a quell’appuntamento perché ha fatto una scelta di morte e, non di morte e resurrezione. La risposta all’appuntamento è libera e si chiama: fede. I Vangeli non sono altro che l’indicazione di “dove” trovare Gesù risorto, predicano l’appuntamento che Egli ha dato a ciascuno di noi. Tutti siamo chiamati ad incontrarlo nel luogo che Lui ci ha indicato e non dove noi abbiamo deciso, non nel tempo stabilito da noi ma da Lui: a noi sta soltanto la scelta di andare oppure non andare all’appuntamento con Lui. Andare a quell’appuntamento è già una risposta di fede bastevole al Signore tanto che, nonostante loro quando lo videro dubitarono, Lui comunque li manda ad annunciare il Vangelo. Andare a quell’appuntamento è come salire un sentiero di alta montagna: è bello ma faticoso, a volte pericoloso ma anche fatto di sorprese stupende e di visioni indimenticabili… I discepoli vanno in gruppo: la salita della montagna della fede non si fa da soli, ma è personale e comunitaria allo stesso tempo. Il dubbio fa parte, dicevamo, della fede: la fede è continuamente tentata, se è vera, perché questo è il limite di ogni creatura. E con fatica, incredulità, aspettative e quanti altri sentimenti del cuore i discepoli salgono sul monte della fede dove anche noi siamo chiamati ad appuntamento con Cristo risorto. 

Gesù Cristo è il Signore

Quando lo videro, si prostrarono… Non vedono più quel Gesù uomo, più umano degli esseri umani, vedono qualcosa simile a quello che Pietro, Giovanni e Giacomo videro sul monte della trasfigurazione (Matteo 17,1-8): Cristo si rivela nella sua vera identità, la sua ostensione ci riporta alla visione non soltanto dell’Figlio dell’uomo risuscitato, ma alla sua vera natura divina! Matteo non parla di ascensione in questo brano, anzi, sembra, in un certo senso, che Lui sia sceso sulla montagna per rivelarsi, Lui il Kyrios, il Pantocratos, il Signore che regna sui cieli e che ha vinto la morte. L’incontro con Lui provoca,  nonostante la costante della incredulità, un senso di trascendenza, di grandezza di Dio! Questa è una pagina focale del Vangelo per la prima comunità cristiana tanto che occupa l’arte della raffigurazione del Signore da quasi subito… Questa pagina ricorda il nostro appuntamento con Cristo risorto dai morti. 

Oh! gloria a Te, o Signore, che sebbene sottratto alla nostra esperienza sensibile, pure sei con noi con la divina fedeltà alla tua finale promessa: «Ecco, Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Noi guardiamo in questo momento l’orologio della nostra storia, e francamente crediamo e diciamo: adesso, sì, Egli, Cristo, risorto, vivo e celeste, è con noi; oggi noi onoriamo e proclamiamo a noi stessi, e all’assemblea circostante…: Cristo, il buon Pastore dell’umanità, il Maestro e il Salvatore del mondo, colui che «è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace» (Is. 9, 5) è con noi. Egli l’ha detto: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro» (Matth. 18, 20); e noi, quanti qui siamo, appunto siamo riuniti nel Tuo nome. (OMELIA DI PAOLO VI, Giovedì, 27 maggio 1976). 

Incontrare Cristo

Asceso al cielo, il Signore, ha mandato lo Spirito santo che abbiamo ricevuto nel giorno del Battesimo. Asceso al cielo sembra essere tornati alla invisibilità di Dio, alla sua alterita’ rispetto all’ umanità. Asceso al cielo, dopo che Cristo ha mostrato il volto di Dio, sembra che l’umanità sia rimasta “orfana”, sia tornata indietro al vecchio testamento. Non è così! A Pentecoste celebriamo il mistero della resurrezione che ha fatto si che lo Spirito santo scendesse su di noi. Non esitiamo nella fede anche se dubbiosi! La presenza di Dio – ci ricordava Paolo VI – è laddove due o tre sono riuniti nel suo nome, nel suo nome; nonostante non lo vediamo lo crediamo in mezzo a noi mentre preghiamo insieme. Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, o come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi? Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali (Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa, Disc. 2 sull’Ascensione 1, 4; PL 54, 397-399).

Gli apostoli, quel monte, hanno vissuto questo passaggio: dal Cristo risorto, apparso Signore del cielo, al dono dello Spirito santo che ha dato vita alla Chiesa dell’ascolto della Parola, della Preghiera e della Carità. Chiediamo l’intercessione agli apostoli per avere il coraggio di fare esperienza della reale presenza del Signore. 

Noi pure così. Noi dovremo portare nell’anima il mistero dell’Ascensione come il punto trascendente, sì, e per ora invisibile e ineffabile, oltre la cortina del nostro orizzonte sensibile e temporale; e riferire a quel punto celeste l’asse della nostra esistenza presente. «Se siete risorti con Cristo – ci ammonisce San Paolo – cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo, assiso alla destra di Dio: pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col. 3, 1-2); e ancora: «La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo» (Phil. 3, 20). Dobbiamo vivere escatologicamente, tesi cioè verso «la speranza che non delude» (Rom. 5, 5).

Noi sappiamo che la mentalità moderna rifiuta questo disegno costitutivo dell’esistenza umana. La mentalità moderna, vogliamo dire quella priva del faro orientatore della speranza cristiana, è tutta impegnata nella conquista del benessere temporale, attuale. La scienza naturale è la sola sua luce; il benessere economico il suo paradiso terrestre; e talora i bisogni legittimi e gravi della vita naturale e presente si vorrebbero strumentalizzare in contrapposizione della finalità religiosa della vita, come prevalenti, anzi come i soli meritevoli dell’umana ricerca, e come degni di piegare a sé e di sostituire i bisogni e doveri dello spirito e le promesse della fede. Questo non è conforme al programma cristiano, il cui disegno, pur riconoscendo e servendo le necessità del tempo, spazia ben oltre i confini degli interessi materiali e dei piaceri momentanei del carpe diemE meraviglia! il cristiano, pellegrino verso il Cristo oltre il tempo, e perciò libero ed agile, disancorato nel cuore dalla scena effimera di questo mondo (Cfr. 1 Cor. 7, 31), proprio in virtù del suo insonne amore al Cristo glorioso dell’al di là, sa scoprire il Cristo bisognoso dell’al di qua; egli intravede il suo Cristo, degno di totale dedizione, nel fratello povero, piccolo, sofferente ove l’immagine mistica di Gesù celeste, secondo la sua divina parola, s’incarna nell’umano dolore terrestre. La nostra festa dell’Ascensione di Cristo può infatti celebrarsi anche così, ascoltando e realizzando la sua travolgente parola d’amore sociale: «In verità vi dico, ogni volta che avrete fatto del bene ai miei fratelli più piccoli, voi l’avete fatto a me» (Cfr. Matth. 25. 40). Così l’Ascensione di Cristo in cielo illumina, guida e sorregge il nostro cammino sulla terra.  (OMELIA DI PAOLO VI, Giovedì, 27 maggio 1976). 








Commento al Vangelo

di domenica 14 Maggio




Verrò da voi…

e mi manifesterò.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-21)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui»
.


MEDITAZIONE

La relazione con Dio

Il Vangelo di questa domenica, sesta del tempo di Pasqua, ci porta ancora nel cenacolo, all’ascolto del discorso che Gesù fa ai discepoli prima di morire, risorgere e di donare lo Spirito santo. Sembrerebbe un brano estemporaneo da ascoltare in questo tempo illuminato dalla gioia pasquale, ma il racconto,  che risale nella sua redazione a dopo la morte e resurrezione di Gesù: fa maturare alla comunità che ascolta l’identità di Cristo e del Cristiano. 

Gesù parla della sua comunione, del suo essere Uno, con il Padre e con lo Spirito santo… Gesù fa conoscere se stesso quale veramente è: vero uomo e vero Dio. Il rapporto di cui parla è un rapporto di relazione tra Tre persone divine… Dio si rivela all’uomo come Essere relazione trinitaria: del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. In questo capitolo quattordicesimo del Vangelo di Giovanni,  come in tanti altri passi dei Vangeli, Gesù rivela la divinità come relazione comunitaria di Tre persone unite da un amore che noi umani non riusciamo a comprendere. Questo loro essere in relazione non poteva che rivelarsi all’uomo, attraverso Gesù Cristo, come un Dio che cerca una relazione confidenziale e comunitaria con l’umanità: Se mi amate… Dio ci chiama ad una relazione con Lui e, noi, accogliamo la sua chiamata: questa è la fede. In effetti in tutto il Vangelo Gesù ha avuto sempre la relazione con il Padre ed ha cercato sempre la relazione con l’umanità di qualsiasi genere; neanche il peccato può rompere questa voglia di relazione che Dio ha nei nostri confronti. Alla comunità ed ai suoi singoli membri, Dio, chiede una relazione che parte innanzitutto dall’ascolto: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti… Abbiamo equivocato nel tempo questa relazione come mera osservanza di precetti morali o rituali, abbiamo perso lo spirito bello di relazione con Dio delle prime comunità cristiane. Siamo chiamati a riscoprire la bellezza di questa relazione tra l’umanità e Dio e, la bellezza, della relazione propria della comunità cristiana!   Osservare i comandamenti non significa attenersi a delle regole morali o rituali, osservare sta per ascoltare i comandamenti che sono le parole di Gesù. L’ascolto è a fondamento di ogni relazione e, con Dio, è ascolto della Sua Parola. L’apice di questo ascolto, dove Lui comunica la sua Parola: provoca il suo comunicarsi a noi nell’Eucarestia. A Lui non basta la comunicazione a parole, ma Lui stesso comunica la Sua stessa vita divina nel Pane e nel Vino dell’Eucaristia.


Non siamo soli

Ci sembra di non conoscere Dio,  oppure ci sembra di conoscerlo bene… Sentiamo spesso la mancanza di Gesù, la distanza della divinità dell’umanità. Ma il Padre ci ha dato un altro Paraclitos (Consolatore) dal latino: advocatus (avvocato), Qualcuno che ci consola è ci difende. Il mondo non conosce questo Consolatore, questo Avvocato dell’anima, a meno che non prestiamo attenzione alle parole di (At 8,6) tanti testimoni tramite cui tenta di arrivare a noi la Parola di Dio. L’umanità senza Dio è orfana perché non sa da dove viene e neanche dove va, senza Dio manca il senso della vita dal suo nascere al suo morire, ma la promessa di Gesù, per chi presta attenzione, è chiara: verrò da voi. Ad un certo punto l’evangelista Giovanni gioca con il verbo vedere. Il mondo non lo vede, i discepoli lo vedono… Dio, lo Spirito santo consolatore e nostro avvocato, non lo vediamo, non vediamo Cristo: vediamo una realtà, dei riti, delle persone che fanno parte di una comunità, vediamo la carità, l’amore verso il prossimo; a vedere la Chiesa c’è tanto da vedere sia di bello ma anche a volte di brutto. Ma come vedere Dio? Come vedere questo Spirito invisibile? Il silenzio di Dio, la sua lontananza è motivo spesso del nostro ateismo, del nostro vivere un lo distaccati da Dio, del nostro disorientamento davanti alla questione del rapporto con la divinità, ma Lui, insistite: verrò da voi. Questi Spirito ce lo abbiamo sempre dentro Dio noi perché, Gesù, prega il Padre per noi; non siamo condannati alla solitudine, siamo chiamati ad aprire una relazione con Dio che non può non aprire alla relazione con i fratelli e le sorelle della comunità cristiana e con il mondo anche lontano da Dio! Siamo essere di relazione perché Dio, che ci ha creato e rendendo, è Relazione! Siamo esseri di relazione e, quando la relazione è tagliata per qualsiasi motivo, soffriamo… Ma non siamo soli: verrò fa voi

Verrò da voi

La promessa del Signore si sta realizzando: Egli viene da noi! Chi accoglie i miei comandamenti – cioè chi ascolta, legge, medita la mia Parola – e li osserva, questi è colui che mi ama; questi è colui che accoglie la relazione con me. Allora prestare attenzione, come faceva la gente che ascoltava Filippo raccontato negli atti degli apostoli, si accorge della Presenza di Cristo risorto: io lo amerò e mi manifesterò a lui. Questo prestare attenzione alla Parola di Dio significa: coglierne le chiavi di lettura per aprire le stanze sconosciute della nostra stessa vita. Prestare attenzione significa accorgersi della presenza del Risorto nella nostra stessa storia: così ci sapremo amati da Dio. Dio quando si manifesta, perché noi lo abbiamo accolto prestando attenzione alla sua Parola che interpreta la nostra vita, fa la prima cosa che appartiene al suo stesso Essere divino: ci ama. L’amore umano è imperfetto, è precario, non adeguato, pieno di lagune e, con tutto questo, siamo chiamati a far pace: siamo soltanto uomini e donne capaci di amare a modo nostro e recepire amore a modo nostro. Non possiamo e non dobbiamo richiedere al prossimo un amore perfetto secondo me, ne sforzarci di far sentire gli altri amati secondo loro… Solo l’amore di Dio è perfetto perché Lui è amore. Allora adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori (1 Pt 3,25)! Nessuno al mondo, tanto meno niente al mondo, merita un amore poi profondo che è quello di adorazione. Non riusciamo a “vedere” la presenza di Dio nella nostra vita,  non riusciamo a prestare attenzione alle sue parole, non riuscissi a “sentire” la sua manifestazione perché, noi nati e creati per adorare Dio: adoriamo qualcos’altro o qualcun altro. Quando Dio diventerà “oggetto” della nostra seria attenzione e adorazione allora ci accorgeremo che dentro di noi non siamo soli, che in noi abita il suo Spirito consolatore e avvocato (colui che ascolta e difende): allora, non riusciremo a tacere ma saremo pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (1 Pt 3,15).



Commento al Vangelo di

domenica 7 Maggio


Divinità via, verità e vita.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,1-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

MEDITAZIONE 

Il posto preparato 

Il Vangelo ci riporta all’interno del cenacolo, un dialogo durante l’ultima cena, in cui Gesù parla del suo congedo, della sua Pasqua, della sua passione, morte e resurrezione. Davanti a questo discorso di commiato diremmo e, di testamento, in cui Gesù annuncia che dopo la sua morte va a prepare un “posto” ai suoi discepoli, loro, non possono che essere turbati. Perché la morte, di noi stessi e degli altri, non può non mettere turbamento; per quanto si possa esprimere coraggio davanti alla morte, la realtà vera umana prova turbamento. La casa del Padre è annunciata da Gesù come qualcosa di grandioso: c’è posto per tutti, anzi, ci sono dimore per tutti. Il Paradiso è la dimora di Dio dove, ognuno, avrà la sua dimora, il suo posto già preparato; la preparazione di cui parla Gesù è la sua morte e resurrezione. La Pasqua di Gesù è preparazione di tutta l’umanità a camminare verso, non solo l’immortalità, ma la resurrezione. Cristo è la via  tramite cui arrivare alla dimora del Padre. Cosicché, la nostra vita ha un senso, abbiamo la libertà di intraprendere la Via per arrivare nella dimora del Padre, nel posto che ci ha preparato Gesù Cristo. Lui stesso è la via perché è già resuscitato ed ha varcato i cieli, Lui stesso è la via di ciascuno di noi che, se scegliamo di percorrerla liberamente, vedrà come senso della vita la salvezza dell’anima e la nostra stessa resurrezione. 

Via, Verità e Vita

Giustamente quello che turba è la verità umana che evince Tommaso a Gesù: non sappiamo dove vai… Siccome non conosciamo quello che succede dopo la morte, diventa difficile spendere la vita per la resurrezione; sembrerebbe come sprecarla, allora, ci limitiamo alle scelte mediane tra fede e vita mondana. Non sappiamo cosa succede dopo la morte e, questa situazione di non conoscenza, ci turba oppure ci sprona all’atto di fede: intraprendere la via di Gesù Cristo. In questo caso, l’atto di fede, è vitale, cioè riguarda la scelta fondamentale della nostra stessa esistenza. Perciò la via di Gesù, o è scelta, oppure no. Intraprendere la via della resurrezione significa trovare il senso profondo  ed ultimo della storia solo in Cristo morto e risorto, Verità divina che ci ha creato e redento. Intraprendere veramente la via della verità, la via di Cristo significa far si che tutta la nostra vita si muove in funzione di Lui, del Risorto. Lui è l’unica possibilità che abbiamo per essere redenti, l’unica via possibile e l’unica Verità per cui siamo stati creati: allora Lui stesso diventa la nostra vita. 

La  conoscenza del Padre

Comunque non siamo destinati a camminare al buio. Nel momento in cui tutta la nostra vita si orienta, in tutte le sue scelte, piccole e grandi, verso Cristo: momento in cui decidiamo di intraprendere veramente questa via, momento in cui decidiamo di dare di questa Verità l’unico motivo fondamentale di vita, insomma quando Cristo diventa la nostra stessa vita: verremo redenti. Ma questa redenzione siamo chiamati a sperimentarla già da questa vita. Quando decidiamo di vivere per Cristo, con Cristo ed in Cristo allora, il nostro cuore e la nostra intelligenza: si aprono alla conoscenza del Padre. Cristo è il Messaggero che Dio ha mandato nel mondo per annunciarci la sua misericordia e la sua salvezza, ma Cristo è anche il Messaggio che il Padre ci ha mandato per credere; la vita stessa di Gesù è messaggio: Le parole che io vi dico… dice Gesù, sono le opere stesse del Padre. Ascoltando la Sua Parola, Dio Padre opera in noi attraverso l’attività del Figlio suo risorto: lo Spirito è questa attività del Cristo nel nostro ascolto della Parola, Lui stesso opera attraverso di essa come la pioggia e la neve che scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra e senza averla fatta germogliare…  (Is 55,10-11). 


Commento al Vangelo di

domenica 30 Aprile

Il Pastore divino

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

MEDITAZIONE

Il recinto e la porta 

Il Vangelo che abbiamo appena letto, ci mette davanti delle immagini, delle visioni che fanno scaturire dei sentimenti e dei pensieri importanti sulla presenza di Cristo risorto nella Chiesa. Come ai tempi di Gesù, la comunità cristiana, si sarà trovata davanti al dubbio della sequela di uno o più testimoni, in una o più comunità. Il nostro testo si dispiega come una metafora di contrapposizione tra Gesù di Nazareth e gli scribi, i farisei del suo tempo: mette in guardia da una parte di fronte alla falsità e dall’altra indica la strada verso la verità. Tre personaggi: il guardiano apre, il pastore chiama e le pecore ascoltano. Chi non apre non è il guardiano, ma scavalca il recinto chiuso; chi entra dalla porta aperta è il pastore. Ci sembrano parole scontate ma ci ricordano che la Presenza del risorto nel recinto della Chiesa è l’unica guida, Lui è l’unico Pastore, l’unico che ha oltrepassato la porta della vita, la morte, per poi risorgere per guidare il Suo gregge con il Suo Spirito. Se da una parte c’è la certezza che siamo chiamati a seguire il Pastore, dall’altra c’è la probabilità che qualcuno voglia prendersi il diritto di guidare il gregge. Serve un discernimento sempre vigile, nella Chiesa, sul comprendere che abbiamo bisogno di essere guidati, ma l’attenzione a coloro che pensano, spesso anche a giusta ragione, di “guidare” contro ogni possibilità gli altri.

Il Pastore è uno solo, Lui parla attraverso la sua Parola ed è presente nei Sacramenti.

La Parola del Pastore è già in noi

Il guardiano ed il pastore sono due immagini del Vangelo che vogliono dire la stessa realtà: la Presenza di Cristo risorto. Le pecore hanno bisogno di essere sollecitate per uscire dal recinto, si lasciano spingere fuori liberamente nonostante tutto perché riconoscono, nella voce del guardiano, l’amore e la sicurezza che le porterà ai pascoli verdi. Le pecore conoscono la voce del guardiano e lui le conosce tutte e ciascuna perché le chiama per nome. Seguire Gesù è una scelta libera, se ascoltiamo la sua voce, cioè la Parola di Dio, ci accorgiamo che: è Lui che parla a te, che parla a me… Quella tra noi e Gesù non è una conoscenza, almeno non solo, intellettuale, una conoscenza sentimentale ma ha qualcosa che è radicato nelle profondità della nostra vita, qualcosa che riguarda “chi siamo”, riguarda l’essere, direbbero i filosofi: riguarda l’ontologia. Un po’ come i legami di sangue, ci si riconosce non perché, almeno non solo, ci si è scelti, ma perché scorre lo stesso sangue… Ancor di più: noi siamo stati creati ad immagine del Verbo di Dio, fattosi uomo in Gesù Cristo e, ascoltando la sua Parola veramente, riconosciamo che le Sue Parole già scorrono in noi per l’opera della creazione. Nel nostro essere umani viventi abbiamo già dentro di noi l’immagine del Verbo di Dio fatto carne, la Parola di Gesù, il richiamo del Pastore divino. È già dentro di noi! C’è una libertà poi delle pecore, la nostra libertà, nel seguirlo oppure no… Lui non ci è estraneo! Noi non gli siamo estranei! Ci conosce per nome: cioè conosce la nostra verità, chi siamo,  cosa ci succede, come siamo,  come realizzarci, conosce anche quelle parti di noi oscure a noi stessi… Ma attenzione a chi si finge pastore ma è di fatto un estraneo perché, non siamo stati creati a sua immagine, l’estraneo ci conosce per sentito dire dagli altri o da noi stessi; Gesù ci conosce realmente, solo Lui!

Il Pastore dona la vita in pienezza, la libertà 

Per farsi capire meglio Gesù da di se anche l’immagine della porta: io sono la porta delle pecore.  Chi segue Gesù ha la libertà, quella vera: entra ed esce… Il cammino dietro a Gesù non può mai trovare costrizioni o coercizioni. La libertà è il modus agendi della comunità cristiana che non può e non deve forzare nessuno. Quando nella chiesa qualcuno si improvvisa, spesso pensando di fare il bene, a convincerci o ancor peggio a costringerci: si ottiene l’effetto diabolico che divide, la fuga o la emulazione di sistemi religiosi pari a quelli dei farisei e degli scribi del tempo. Quando le comunità crescono per emulazione, crescono grazie ai “ladri ed ai briganti” che non sanno nemmeno di esserlo e si improvvisano pastori, anche in tutta umiltà, assolutizzando non la voce del Pastore divino che è liberante, ma assolutizzando un richiamo che entra in collisione con il cuore dell’essere umano chiamato a vivere nella libertà. Quando, in qualsiasi modo, la libertà viene limitata, limitato ne è anche l’amore: e questo non è opera del Buon Pastore. Ognuno ha il suo “percorso” libero dietro al Buon Pastore che lo porta alla libertà,  cioè a vivere la vita in pienezza. Soltanto un legame strettissimo con il Pastore vero, che è la porta in cui si rivela una parte del misterioso nome di Dio, garantisce con abbondanza la vita (I. Gargano, “Lectio divina sul Vangelo di giovanni”, p. 138). 




Commento al Vangelo di

domenica 23 Aprile


Il Divino Viandante

dell’umanità  

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

MEDITAZIONE

Mancanza di fede per la delusione, la frustrazione e il dolore. 

Come gli altri brani della manifestazione di Gesù risorto, anche questo,  comincia con un disagio che motiva il viaggio – cioè la fuga o l’allontanamento del luogo della Chiesa, che era il cenacolo – di due discepoli. Vivono una mancanza di fede con l’aggravante che mentre tutti rimangono a Gerusalemme, loro si allontanano. Sembrano proprio delusi da Dio e dalla realtà che vivono, con le loro aspettative frustrate… Mentre camminavano conversavano e discutevano insieme… Non sappiamo che tipo di dialogo era, ma, certamente, Gesù gli era diventato così estraneo che non comprendono la sua Presenza. È un po’ il cammino della umanità che si è allontanata da Dio e allontanata dalla comunità, dalla comunione nella Chiesa ed inesorabilmente: Dio gli diventa estraneo. Per millenni Dio ha fatto parte del vissuto umano, è entrato in ogni fibra dell’essere, della geografia, della storia. Non era estraneo ai credenti a causa della loro fede, non era estraneo ai non credenti perché era plausibile… Ora dovrebbe cambiare l’orizzonte. Ma come sarebbe quest’epoca nuova una volta chiusa la stagione di Dio ? (R. La Valle, “no, non è la fine, Lavis, 2021, p. 45).  

 Il volto dei discepoli di Emmaus è triste, non hanno voluto affrontare il dolore della Passione del Signore, del lutto per la morte, il dolore della delusione, del distacco e del pericolo; il vero pericolo è che l’umanità cerchi di non affrontare il dolore. Le persone che non sanno affrontare i dolori rimangono infantili, nevrotiche, vivono una vita di superficie, ben lontana dalla loro unicità. Costruire una vita solo sulle cene, le bevute, l’allegria créa spesso danni irreparabili all’ inconscio. Il dolore è un richiamo fondamentale in questo senso. In tutte le tradizioni religiose – parlo da laico – il dolore viene chiamato, cercato: pensate per esempio alla Quaresima e alla Pasqua cattolica e così via. Gli antichi e le tradizioni sapevano che escludere il dolore dalla vita è molto pericoloso, così come far finta di non vederlo e negarlo… (R. Morelli,  “vivere senza pesi mentali”, Milano, 2022, p. 47).

Il Divino Viandante accompagna l’umanità 

Un misterioso viandante si avvicinò e camminava con loro, si scambiano parole, Cleopa era ironicamente stupito che quel viandante non conoscesse cosa fosse successo a Gesù di Nazareth. Gli raccontano tutto l’accaduto e la testimonianza di alcune donne e dei discepoli che, tuttavia, senza la dimensione della fede, resta una storia vuota e sconvolgente come la tomba. Carichi di tristi pensieri, non immaginavano che quello sconosciuto fosse proprio il loro Maestro, ormai risorto. Sperimentavano tuttavia un intimo «ardore», mentre Egli parlava con loro «spiegando» le Scritture. La luce della Parola scioglieva la durezza del loro cuore e «apriva loro gli occhi». Tra le ombre del giorno in declino e l’oscurità che incombeva nell’animo, quel Viandante era un raggio di luce che risvegliava la speranza ed apriva i loro animi al desiderio della luce piena. «Rimani con noi», supplicarono. Ed egli accettò. Di lì a poco, il volto di Gesù sarebbe scomparso, ma il Maestro sarebbe «rimasto» sotto i veli del «pane spezzato», davanti al quale i loro occhi si erano aperti. (San Giovanni Paolo II, “mane nobiscum domine”, SCV, 2004, n.1). Gesù risorto prende l’iniziativa di andare incontro a loro, di condividerne la strada… Questo è il percorso dell’umanità, che accompagnata da Cristo risorto, in tutte le vicende della storia in senso generale e, della storia, in senso personale: potrebbe non riconoscere la presenza di Cristo. La stolta sapienza dei due di Emmaus è umana: quel profeta è morto, tutto è perduto. La sofferenza e la morte possono far dimenticare il senso della propria esistenza ed andare avanti così, come diceva lo psicoterapeuta che ho prima citato… Loro due erano lenti di cuore, ma, La luce della Parola scioglieva la durezza del loro cuore e «apriva loro gli occhi»…  Gesù risorto stimola l’intelligenza attraverso la Sua Parola, stimola alla cosiddetta Sapienza che è conoscenza di Dio. La Parola di Dio è la Parola di Gesù risorto, se la leggiamo con intelligenza, Lei, ad un certo punto, apre il cuore. Solo così possiamo sentire la voce del Risorto che ci accompagna, che ci consola, che ci Manifesta la sua Presenza. Tutto sta nell’accettare che la presenza di Dio non è data dalle aspettative umane, come quelle che avevano i due discepoli di Emmaus, quanto invece nell’ entrare nei cuori. Anche come Chiesa spesso siamo più presi da altro dando per scontata la fede. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone. (Benedetto XVI, “la porta della fede”, SCV, 2012, n.2).

Riconobbero il Viandante Misterioso

Come cambia l’esperienza di questi due discepoli incontrando Gesù risorto! Come cambia la tua vita se incontri Gesù risorto! Dalla fuga: dal dolore e dalle paure, dalla tristezza e dalle frustrazioni, in cammino sul sentiero che potremmo chiamare “senza fede” verso un paese non senso (Emmaus che gli studiosi dicono che forse neanche esisteva), la Parola di quel viandante apre l’intelligenza con le Scritture fino ad illuminare e scaldare il cuore. Dall’esperienza della strada, entrano nel villaggio e, insistendo con Lui di restare perché si fa sera, la loro esperienza diventa intima con quel ancora Misterioso Viandante. Ma ora il contesto non è più la strada: ma l’intimità di una tavola per la cena, dove si fa esperienza dell’amore e, in loro, cresce di nuovo sempre di più la fede. E’ significativo che i due discepoli di Emmaus, convenientemente preparati dalle parole del Signore, lo abbiano riconosciuto mentre stavano a mensa nel gesto semplice della «frazione del pane». Una volta che le menti sono illuminate e i cuori riscaldati, i segni «parlano». L’Eucaristia si svolge tutta nel contesto dinamico di segni che recano in sé un denso e luminoso messaggio. E’ attraverso i segni che il mistero in qualche modo si apre agli occhi del credente… I due discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore, «partirono senza indugio» (Ic 24, 33), per comunicare ciò che avevano visto e udito. Quando si è fatta vera esperienza del Risorto, nutrendosi del suo corpo e del suo sangue, non si può tenere solo per sé la gioia provata. (San Giovanni Paolo II, “mane nobiscum domine”, SCV, 2004, n.14.24). 

L’esperienza che fa ardere il cuore nel petto è l’esperienza dell’Amore di Dio; quando si fa questa esperienza, da cui ci si può anche allontanare, la gioia e l’amore per l’umanità diventa contagioso attraente per i lontani. Diventa forte, dopo aver capito che si è incontrato il Cristo risorto l’ardore del cuore, tanto che non si può tacere, ma sfocia nella esperienza di far vivere agli altri quello che si è vissuto. La fede, se è vera, non te la tieni per te, perché è come un fuoco incontenibile… La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare. (Benedetto XVI, “la porta della fede”, SCV, 2012, n.7). 


Commento al Vangelo di

domenica 16 Aprile

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-31)


La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. 

MEDITAZIONE 

Porte chiuse e… paura

La sera i discepoli del cenacolo stanno a porte chiuse, con tanta paura di essere anche loro imprigionati e processati perché seguaci di quel Gesù, che, già si era mostrato risuscitato la domenica prima. La sera, le porte chiuse e la paura sono tre segni del disorientamento che loro vivono. Disorientamento psicologico fatto di ansia, paura per il futuro, la stanchezza per tutto ciò che era successo… Il disorientamento dei discepoli di Gesù dopo la sua morte e resurrezione porta in se tutto il disorientamento umano davanti ai tormenti, ai ripensamenti, ai dubbi, alla solitudine… tutto confluisce nella testa con una pesantezza mentale ma, i loro problemi, sono illusione del proprio “io”. Un disorientamento e paura che chiude la porta alla gioia, alla speranza… frammista alla delusione che porta alla voglia di fuga – come avverrà per i due discepoli di Emmaus – o ad un senso di solitudine esasperante. È anche disorientamento ecclesiale quando le nostre comunità dimenticano che il loro senso è Cristo risorto e non i risultati o la contentezza o il senso di benessere… Tutto questo peso mentale personale ed ecclesiale gli fa chiudere la porta del cuore e del cenacolo; ma anche a porte chiuse è possibile incontrare il Signore. Anzi, proprio in quel “esilio” irrompe il Risorto. 

Venne Gesù e stette in mezzo

A porte chiuse è Gesù che irrompe e appare all’improvviso in mezzo a loro, Gesù irrompe e dona quello che mancava ai cuori: pace a voi! L’iniziativa di manifestarsi nel cenacolo, così come nella nostra vita: è sempre di Dio. Per Sua Iniziativa Gesù si manifesta risorto. Cosa hanno fatto i discepoli perché avvenga questa manifestazione? Niente. Hanno solo aspettato senza fuggire, ci sono stati, erano presenti li con tutte le contraddizioni dell’essere li. Loro c’erano. Essere nel luogo dell’incontro con Cristo, essere nel cenacolo nonostante il disorientamento, il rischio della persecuzione, il rischio di perdere tempo e tanta paura; esserci nel cenacolo – nel luogo della Chiesa come scelta di vita – perché Gesù risorto prima o poi irrompe, arriva e ci ritrova al suo cospetto. L’essere comunità deve andare oltre il funzionalismo dell’essere in parrocchia per fare questo o quest’altro e, viverla, come ambiente di vita perché li, prima o poi,  nel nostro esserci, il Maestro si manifesta. 

Ad irrompere è il Corpo di Cristo risorto con tutte le sue piaghe… I discepoli avranno soltanto ripetuto il rito del pane e del vino ma poi è Lui a fare il resto: si fa Presenza. 

Mandati… ricevono il “Soffio” di Cristo

Gesù annuncia loro solo la pace. Conosce il loro disorientamento e non gli propone un tempo di riflessione, di preparazione, un tempo per riprendersi. Ma subito li manda in missione. La missione della primissima Chiesa, come oggi, non è frutto della congeniale possibilità strategica umana o di schematismi religiosi, quanto invece è lo Spirito di Cristo, il suo Soffio, la sua vitalità a mandare fuori i discepoli rinchiusi nel loro disorientamento… Vi mando! Il mandato non è una consecutio di un tempo, se non della fede nello Spirito santo che mantiene attivo il Risorto nella Chiesa. Immaginiamoci i discepoli, prima disorientati ma presenti nel cenacolo, poi stupefatti dalla presenza del Corpo del Risorto, poi subito mandati in missione. Non sono pronti per andarci secondo una logica umana, ma lo Spirito santo li rende pronto perché entra dentro di loro. 

La missione della Misericordia 

Quale è il primo messaggio che dovrà portare la Chiesa nascente ? La misericordia: perdonerete i peccati! Dobbiamo seriamente riconoscere che come Chiesa siamo chiusi nel cenacolo del puritanesimo, degli uomini e donne che si sentono pulite dal peccato. Spesso la Chiesa chiude la porta del cenacolo per non far entrare i peccatori – come se in chiesa non ci fossero peccatori – o ancor peggio li caccia… e non parlo dei peccati piccoli, quello che chiamavamo veniali, quanto dei peccati mortali: i peggio. Perdonate! Perdonatevi! Perdonate proprio dove li il perdono non è affatto meritato e manco recepito, ma perdonate! La Chiesa ha questo primo annuncio del risorto che è il proseguo delle ultime parole di Gesu dal sulla croce: Padre perdonali! Spesso siamo chiusi, spesso la comunità è chiusa! Dobbiamo uscire da questa “chiusura” ipocrita! Perdonare e annunciare la misericordia che è il primo atto di amore e anche quello più estremo. Perché il Vangelo non è per i perbenisti religiosi, ma è per i miserabili, per coloro che hanno bisogno dell’Amore di Dio, che hanno bisogno dell’amore comunitario, che hanno bisogno di misericordia, è per l’umanità lontana dall’amore vero!

Sii credente! 

Noi siamo nel “tempo dì Tommaso”: le testimonianze dei discepoli ci dicono che lo hanno visto risorto, ma noi, vorremmo cederci, a volte ci crediamo, altre volte dubitiamo: abbiamo bisogno di prove.

Beati noi che non abbiano visto, se crediamo, perché, abbiamo sviluppato la vista del cuore e della ragione: La Sapienza. Cristo è risorto ed è vivo ed attivo nella sua Chiesa grazie allo Spirito santo. Le parole di Gesù a s. Tommaso si possono interpretare in tanti modi… Mi viene quello che è espresso dalle ultime vicende che ha visto Gesù patire e morire sulla croce, dato l’accento che viene messo nel testo sulle piaghe del Corpo di Cristo: Tommaso, io ho sofferto per te, sono morto per te, non essere più incredulo, ma credente! Io ho sofferto per te, sono morto per te, non essere più incredulo ma credente. Stacci! Essere presenti più che fare, perché così avremo la vita nel Suo Nome.

INFORMAZIONI
0650610586
CONTATTO WHATSAPP: 0650610586
Memorizza il numero della parrocchia e scrivici

La chiesa è aperta:
dalle 8 alle 12 e dalle 17 alle 19,30

LA SEGRETERIA È APERTA
La mattina: il lunedì, venerdì e sabato dalle 10 alle 12.
Il pomeriggio: Lunedì, martedì, mercoledì e venerdì dalle ore 17 alle ore 19.
Giovedì e domenica chiusa.

Whatsapp parrocchiale

Iscrizione cresime ragazzi
Battesimi
Funerali

Benedizioni famiglie nelle case

articoli recenti
Aprile 2023
L M M G V S D
 12
3456789
10111213141516
17181920212223
24252627282930
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: