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Commento ai Vangeli della Quaresima

Commento ai Vangeli della Quaresima

30. Marzo, 2023QuaresimaNo comments

Commento al Vangelo di domenica 26 Marzo

Se crederai, vedrai la gloria di Dio

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 11,1-45

Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”.
4All’udire questo, Gesù disse: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”. 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea!”. 8I discepoli gli dissero: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. 9Gesù rispose: “Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui”.

11Disse queste cose e poi soggiunse loro: “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. 12Gli dissero allora i discepoli: “Signore, se si è addormentato, si salverà”. 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: “Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!”. 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui!”.

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. 23Gesù le disse: “Tuo fratello risorgerà”. 24Gli rispose Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”. 25Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. 27Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”.

28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: “Il Maestro è qui e ti chiama”. 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

 32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: “Dove lo avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava!”. 37Ma alcuni di loro dissero: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?”.
38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni”. 40Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. 43Detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: “Liberàtelo e lasciàtelo andare”.
45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

LA MALATTIA PER LA GLORIA DI DIO

<<Nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Cristo, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti Santi, come ad esempio San Francesco d’Assisi, Sant’Ignazio di Loyola, ecc. Frutto di una tale conversione non è solo il fatto che l’uomo scopre il senso salvifico della sofferenza, ma soprattutto che nella sofferenza diventa un uomo completamente nuovo. Egli trova quasi una nuova misura di tutta la propria vita della propria vocazione. Questa scoperta è una particolare conferma della grandezza spirituale che nell’uomo supera il corpo in modo del tutto incomparabile. Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l’uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l’interiore maturità grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani e normali. Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso… La sofferenza è, in se stessa, un provare il male. Ma Cristo ne ha fatto la più solida base del bene definitivo, cioè del bene della salvezza eterna>> (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris,26). Malattia e fede: quale rapporto nella mia vita?

…DIO TE LA CONCEDERA’

La professione di fede di Marta è davvero grande: se fossi stato qui non sarebbe morto… Dov’è Dio quando soffriamo e sperimentiamo la sua assenza? Se fossi stato qui… Marta ha una grande fede, crede anche nella resurrezione e da una definizione alta – teologica – di Cristo! Ha un solo problema: come se la morte non fosse sotto il dominio di Dio. Gesù compie questo miracolo per annunciare il dominio di Dio sulla morte e per preannunciare la sua resurrezione. Lazzaro tonra nella vita mortale con le bende: Gesù abbandonerà le bende per risorgere in un altre “dimensione”… La fede semplice dell’atto di fede: Dio può! Nel discernimento della fede, ciò che desideriamo in Dio, se ci crediamo: si realizza completamente, nei tempi di Dio. 

IL CUORE DI GESU’

Gesù ormai è rivelato vero Dio e vero uomo – come affermiamo nel credo – e nel suo rapporto divino con il Padre, mostra il Suo volto misericordioso. Si commuove e piange. Dio non resta freddo alle vicende tristi umane, ma: si commuove profondamente e piange. Un Dio umano per poter rendere umano l’essere umano che ha perso la sua umanità! Il sentimento della Pietas divina è qualcosa di misterioso e grandioso allo stesso tempo: il pianto di Dio per l’uomo! La compassione di Dio per l’umanità! Che effetto ci fa questo?

TRE PASSAGGI DELLA VITA INTERIORE

Togliete la pietra…, vieni fuori…, liberatelo..  In questo tempo finale di quaresima siamo chiamati ad uscire dai nostri sepolcri interiori: a togliere la pietra, ciò che chiude il nostro cuore, ciò che ci tiene nel buio mortale del peccato e della sofferenza e venirne fuori. Il sepolcro interiore <<è vivere ma perché vivo e non avere voglia di andare avanti, non avere voglia di fare qualcosa nella vita, aver perso la memoria della gioia. Gesù ci dice: Alzati, prendi la tua vita come sia, bella, brutta come sia, prendila e vai avanti. Non avere paura, vai avanti …Ma vai avanti! E’ la tua vita, è la tua gioia”>> (Papa Francesco, omelia del 28/3/2017). Rimanere in questo sepolcro che si chiama vittimismo è accidia – dice Papa Francesco -, bisogna uscire da questo torpore perché dopo uno stato di morte segue sempre uno stato di resurrezione!

Mons. Stefano Ferrando

Mons. Stefano Ferrando

23. Dicembre, 2022Senza categoriaNo comments

il servo di Dio 

Fondatore delle nostre suore

“Amate tanto i poveri, spendetevi con zelo, dimenticatevi di voi, amando Dio di cuore” 

(Monsignor Stefano Ferrando) 

Venerabile Monsignor Stefano Ferrando sdb

Breve profilo della vita del Venerabile Stefano Ferrando SDB (1895-1978) 

Stefano Ferrando nacque il 28 settembre 1895 a Rossiglione, in provincia di Genova (Italia), figlio di Agostino e Giuseppina Salvi. Egli trascorse una fanciullezza felice come un ragazzo normale della sua età. Dopo aver completato la scuola primaria al suo paese natio, frequentò la scuola salesiana di Fossano e più tardi quella di Valdocco (Torino). Affascinato dalla vita e dal motto di Don Bosco “Dammi le anime e toglimi tutto il resto”, divenne Salesiano il 15 settembre 1912. Durante la prima guerra mondiale egli prestò il servizio militare alla patria per quattro anni e meritò anche la Medaglia d’Argento per il suo impegno diuturno, la fedeltà, il coraggio e la dedizione totale. Ordinato sacerdote il 18 marzo 1923, fu a capo del terzo gruppo di missionari salesiani che partì per il Nordest dell’India e che era formato da un chierico e da otto novizi. Essi raggiunsero Shillong il 23 dicembre 1923. 

Arrivato nella nuova terra di missione, don Ferrando prestò il suo servizio sacerdotale e salesiano come Maestro dei novizi e Direttore per dieci anni. Il 9 luglio 1934, Papa Pio XI lo nominò primo Vescovo di Krishnagar. Nella sua ordinazione episcopale, avvenuta il 10 novembre 1934, egli prese come motto del suo episcopato: “Apostolo di Cristo”. L’anno seguente venne trasferito a Shillongcome secondo Vescovo di quella sede episcopale. Qui svolse il suo intenso ministero trentaquattro anni. 

Mons. Ferrando fu un grande missionario, con vedute assai ampie e lungimiranti. In risposta ai segni del tempo e ai bisogni della sua Chiesa locale, egli fondò la Congregazione delle ‘Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice’ il 24 ottobre 1942. 

Egli visse tutta la sua vita in una fede, speranza e carità veramente eroiche e fu straordinario nella semplicità del suo modo di vivere in umiltà, obbrdienza e nell’amore per i poveri e i bisognosi.Questo gli permise di guadagnare molte anime a Cristo. Fu anche, come Don Bosco, un grande sognatore, per cui riuscì ad essere un antesignano profetico del Concilio Vaticano II, iniziando quella che noi oggi chiamiamo la “ Nuova Evangelizzazione” e la “Missioad gentes” per far giungere a tutti i popoli il messaggio del Vangelo e della salvezza. 

Animato da un’ardente passione per Cristo e per l’uomo, Mons. Ferrando fondò molti centri missionari e istituzioni per l’educazione dei giovani in zone rurali, attraverso i quali raggiunse soprattutto i più poveri e i più bisognosi. Diede origine anche a molte opere nel cuore di Shillong, come la Cattedrale di Maria Aiuto dei Cristiani, il Seminario di San Paolo e l’ospedale di Nazareth. Egli favorì in tutti i modi le vocazioni locali e fu innamorato della cultura del luogo, cercando sempre di promuovere le lingue del posto. 

Il Vescovo Ferrando visse per quarantasei anni nel Nordest dell’India con la costante passione interiore di diventare sempre più parte viva della sua terra di missione! Quando alla fine arrivò il momento del suo ritiro nel 1969, gli fu richiesto di tornare al suo paese d’origine. Così egli passò gli ultimi anni di vita a Genova Quarto, dove morì il 20 giugno 1978. E’ stato

sepolto nella tomba di famiglia a Rossiglione. Con uno speciale intervento della divina Provvidenza i suoi resti mortali furono portati a Shillong e sepolti nel convento della cappella di Santa Margherita il 12 dicembre 1987. 

Il processo diocesano di beatificazione ebbe inizio l’8 ottobre 2003 e terminò a Shillong il 13 agosto 2006. La copia finale della Positiovenne consegnata per la legittima approvazione il 5 dicembre 2012. Papa Francesco lo ha dichiarato ‘Venerabile’ il 3 marzo 2016. 

Sia reso grazie a Dio per il dono di questo umile servo e figlio fedele di Don Bosco. Noi vogliamo pregare perché la potente intercessione del Venerabile possa continuare a guidare la Chiesa nel Nordest dell’India e la Chiesa universale, mentre aspettiamo ardentemente il giorno della sua glorificazione finale come “beato e santo”. 

Alcune massime del Venerabile Vescovo Ferrando 

1. Abbi sempre un ardente desiderio di diventare santo, un grande santo. 2. Evita ogni peccato deliberato e ogni colpa e dopo una colpa non scoraggiarti, ma fa’ un atto di costrizione. 

3. Taglia alla radice ogni attaccamento alle creature, alla propria volontà e alla propria stima. 4. Accogli tutte le croci e le contraddizioni con gioia e letizia dalle mani di Dio. 5. Ogni giorno fa’ una speciale offerta di te stesso a Dio, perché Egli possa disporre di te e di tutto quello che hai, in qualunque modo a Lui piaccia. 

     6. Prega continuamente e raccomanda te stesso con la più grande fiducia alla Vergine Madre Maria, avendo in Lei una devozione filiale, come un bambino. 

Preghiera 

per impetrare l’aiuto 

del Venerabile Servo di Dio 

Mons. Stefano Ferrando 

Padre Santo e misericordioso, che riveli la tua onnipotenza con la misericordia e il perdono, ti ringraziamo e benediciamo per aver donato alla tua Chiesa e a tutta l’umanità il Venerabile Vescovo Mons. Stefano Ferrando, tuo fedele servitore e generoso testimone di carità per i poveri e gli ultimi. 

Sostenuto dal carisma di San Giovanni Bosco, animato da intenso spirito apostolico e missionario, ha vissuto con profondità spirituale ed educativa la sua opera di sacerdote, di religioso e di Pastore della Chiesa nell’India del Nord-Est, spendendo tutta la sua vita per predicare e vivere il Vangelo dell’Amore e portando a tutti la gioia della fede fino al sacrificio di se stesso. Mirabile testimone di bontà e di fortezza e guidato da una filiale devozione a Maria Aiuto dei Cristiani, ha fondato una Famiglia religiosa perché diffonda nel mondo il divino messaggio della Parola di Dio che salva e dell’amore a Cristo, consolatore dei sofferenti e amico dei più poveri. 

Padre Provvidente ti preghiamo affinchè chiunque ricorra con la preghiera all’intercessione del Venerabile Mons. Ferrando, possa ottenere quelle grazie che desidera, secondo la tua volontà e il suo bene. 

L’esempio di Mons. Ferrando accompagni le sue Figlie sulla via che ha loro indicato con l’insegnamento e la testimonianza della vita e dia a tutta la Chiesa la gioia di poterlo presto venerare Beato e modello di santità. 

Te lo chiediamo umilmente e con fiducia, per Gesù Cristo nostro Signore. Amen

Equipe pastorale… in ascolto

Equipe pastorale… in ascolto

25. Settembre, 2021Senza categoriaNo comments

I sigilli, i cavalieri e la preghiera dei martiri

L’ascolto di Dio, del proprio cuore e dell’umanità

Dal libro dell’Apocalisse 6,1-11

Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». 2 Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.

3 Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». 4 Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.

5 Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. 6 E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».

7 Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». 8 Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.

9 Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. 10 E gridarono a gran voce:

«Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace,

non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue

sopra gli abitanti della terra?».

11 Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco

Meditazione

Dopo che Giovanni, presbitero di una comunità, martoriata dalle persecuzioni e da divisioni e lotte interne, si mette in ascolto della voce di Dio che lo invita – nel giorno del Signore, in domenica, evidentemente dopo la celebrazione eucaristica – a “trascendere”, cioè a ricercare in una preghiera più profonda un contatto poi reale con Dio – sali quassù, che fai laggiù ? –  comprende nella visione del rotolo della vita, sigillato, che: la storia umana non può essere compresa dalla stessa umanità senza Dio, senza la luce del Cristo risorto. 

La “spiegazione” dei grandi perché è in Dio, come il rotolo della storia è nelle sue mani e, soltanto colui che è l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo – l’Archetipo e la Meta per cui siamo stati creati – ne è il possibile interprete che può illuminare gli uomini; Giovanni scrive al gruppo di ascolto (anche a noi), l’esperienza di fede che può farci vedere la (nostra) storia diversamene e positivamente da come noi la vediamo. Già il fatto che la vittoria del bene sul male e, la possibilità dell’interpretazione sia data ad uno simile ad Agnello come sgozzato (immolato), cioè a Cristo morto e risorto, ce la dice lunga su come il mondo pensi e viva… Il pianto (di Giovanni) dell’umanità, prima che sul piano operativo sulla storia, è sul piano interpretativo: cosa succede? Perché succede? La non conoscenza, ancor più la impossibilità di consapevolezza, porta l’umanità alla paura: dobbiamo avere l’umiltà di accettare che l’umanità non sa darsi spesso e volentieri risposte esaustive e spesso neanche tentarle… Solo l’Agnello immolato, cioè alla luce del Cristo morto e risorto, possiamo cominciare a comprendere qualcosa: è Lui che apre il libro interamente letto ma pienamente sigillato da sette sigilli. 

Ci soffermiamo solo sui primi cinque sigilli.

I primi quattro aprono ad una riflessione sapienziale – cioè una conoscenza fatta alla luce della preghiera in Cristo risorto e alla luce della Sacra Scrittura – sullo svolgimento delle vicende umane sotto l’influsso divino e presentano il confronto continuo tra il Bene ed il male. Nella storia si muovo alcune forze negative: la guerra e le liti, le forme di carestia e di povertà, la morte interiore e quella fisica, alle quali, è contrapposta, una forza positiva e definitiva di Cristo morto e risorto. 

La visione dell’apertura dei sigilli è sempre scandita dall’ udii. C’è questo continuo invito all’ascolto. Aprire l’orecchio per ascoltare Dio che,  come a Giovanni, deve mostrarci delle cose; aprire l’orecchi per l’ascolto del grido della violenza che è dentro e fuori di noi, senza paura; l’ascolto del grido dei poveri vittime della ingiustizia sociale; l’ascolto del grido della sofferenza e del lutto che si alza dentro e fuori di noi. Puntuale nell’apocalisse è sempre l’invito accorato di Dio ad ascoltarLo, ad ascoltare il nostro cuore e ad ascoltare l’umanità. 

Il primo cavaliere riconosciuto solennemente dalla corona che riceve, dall’arco che rappresenta il giudizio e dal cavallo bianco della resurrezione: rappresenta la presenza nella storia di Cristo nel mondo. Questo primo sigillo non presenta la vita dei trentatré anni di Gesù di Nazareth, ma la presenza storica di Cristo nel mondo dopo la sua morte e resurrezione, presente fino alla fine dei tempi – ecco io sono con voi fino alla fine del mondo – che infonde nei credenti, chiamati a vivere ciascuno nel proprio tempo, la capacità di discernere il bene dal male, di affrontare il male in tutte le sue manifestazioni fini al superamento definitivo. In pratica, l’oggi del cavaliere bianco, è il cristianesimo che si muove  nel mondo con la capacità che Dio gli da di discernere il bene dal male e di portare la vittoria di Cristo operata con l’Amore.

Il cavaliere rosso fuoco richiama con il suo colore la forza diabolica che attraversa la storia, assecondata da tutti coloro che si arrogano il diritto di togliere l’armonia nel creato tra gli uomini, che minano alla serena convivenza nell’ umanità con la violenza omicida e fratricida, violenza organizzata o privata, di coloro che si rendono incapaci di rapporti autentici minando sempre la pace con l’ira e le minacce… la violenza è permessa da Dio, secondo il disegno di libertà che è proprio della creazione e della scelta umana del bene o del male. Il peccato più grande da riconoscere è prima e innanzitutto questo perché mira contro la stessa essenza di Dio: l’Amore.

Il cavaliere nero indica una negatività radicale, si nota un’ingiustizia macroscopica: all’esborso di un denaro viene corrisposta soltanto la dodicesima o l’ottava parte del dovuto. Ciò rende la vita praticamente impossibile a chi vuole mantenersi con il proprio lavoro. Il cavaliere nero sarà ingiusto con lo scambio del grano e dell’orzo a danno delle persone più povere, ma nella pesa non dovrà danneggiare il vino e l’olio a salvaguardia delle persone più benestanti: l’ingiustizia sociale! 

<<La divisione del mondo in zone di benessere e in zone di miseria… è l’agonia di Cristo oggi. Il mondo infatti è composto di due stanze: in una stanza si spreca e nell’altra si crepa; in una si muore di abbondanza e nell’altra si muore di indigenza;

in una si teme l’obesità e nell’altra si invoca la carità.

Perché non apriamo una porta? Perché non formiamo una sola mensa?

Perché non capiamo che i poveri sono la terapia dei ricchi?

Perché? Perché? Perché siamo così ciechi?

Signore Gesù, l’uomo che vive per accumulare

Tu l’hai chiamato stolto!

Sì, è stolto chi pensa di possedere qualcosa,

perché uno solo è il Proprietario del mondo.

Signore Gesù, il mondo è tuo, soltanto tuo.

E Tu l’hai donato a tutti affinché la terra sia una casa che tutti nutre e tutti protegge.

Accumulare, pertanto, è rubare se il cumulo inutile impedisce ad altri di vivere.

Signore Gesù, fa’ finire lo scandalo che divide il mondo in ville e baracche.

Signore, rieducaci alla fraternità.>> (Angelo Comastri, commento VI stazione Via Crucis, Colosseo 2006).

Il cavaliere verde putrefazione è colui che porta la morte. Morte intesa come morte vera e propria, morte intesa come incapacità del male naturale che si accanisce sul cosmo e sul corpo umano, morte intesa come morte interiore morale e psicologica… il verde nell’Apocalisse rappresenta la putrefazione ma anche la speranza perché Cristo ha vinto la morte, ha vinto ogni morte. Davanti alla peste, alle malattie, alle carestie e da tutto ciò che viene a portare la morte dalla natura ci chiediamo: <<è ancora possibile credere che una divinità buona diriga il corso delle vicende umane? … una divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile. Ci sono dei momenti di profonda oscurità, nella vita di un uomo o di una donna, in cui Dio ci appare come un nemico che ci perseguita e ci vuole uccidere. Eppure, per quanto possiamo essere feriti e azzoppati da questa paradossale colluttazione, la nostra disperazione è più forte di Lui e lo “costringe” a benedirci. Dio si lascia vincere dalla sua creatura. Alla fine Dio è nel silenzio. Ci riporta alla regalità di Cristo Crocefisso. Eppure questo “svuotamento” non implica, in realtà, la rinuncia di Gesù alla sua regalità e, più profondamente, alla sua divinità. Anzi, nei vangeli la croce diventa l’autorivelazione e l’autodefinizione insuperabile di Dio. 

Bisogna ricordarsi di questo quando ci si chiede, di fonte allo spettacolo tremendo del male: dov’è Dio? Forse non lo vediamo perché guardiamo dalla parte sbagliata, verso l’alto, da dove ci sa aspettiamo che arrivi il suo intervento liberatore, invcece, è davanti a noi. La crocifissione. È un nuovo concetto di onnipotenza, adeguata a un Dio che la esercita spogliandosi di se proprio per esser se stesso, pienezza di amore: Dio è amore>> ( Giuseppe Savagnone, il miracolo e il disincanto, EDB 2021). 

Proprio per questo all’apertura del quinto sigillo, la visione, diventa più realistica e liturgica. I martiri,  coloro che crocefissi nella sofferenza, testimoniano comunque la fede in Cristo morto e risorto, gridano verso Dio: fino a quando? È una preghiera gridata non solo da un singolo, ma da una intera comunità di martiri facendo pressione su Dio lo spingono a fare qualcosa, a reagire, in un certo modo, perdonando o intervenendo, secondo il contesto specifico. Fino a quando? È anche il nostro urlo comunitario quando il nostro equilibrio è turbato dal peccato, dall’ingiustizia sociale, dalla sofferenza e dalla morte. Dio reagisce con il dono personale di una veste bianca (segno della resurrezione di Cristo partecipato ai credenti) e con un chiarimento. Il ritardo divino è in funzione di una pienezza che si realizza solo gradualmente, non emotivamente all’istante, ma nel tempo necessario a far maturare in noi e, intorno a noi, la grazia di Dio di un rinnovamento interiore ed esteriore e la resurrezione. Su questi martiri che gridano verso Dio la preghiera comunitaria, fino a quando: si proiettano tutte le preghiere dei viventi sconcertati di fonte alla sofferenza e alla negatività che sono obbligati a constatare. 

Ancora una volta la fede ci richiede di lasciar fare a Dio, di affidarci a Lui e testimoniare la fede nonostante le sofferenze, a non aspettarci niente dagli altri ma a rimanere nell’attesa dell’azione provvida e al tempo e modo stabilito da Dio. 



Il libro della Storia, l’Agnello, la vittoria e le preghiere dei santi

Dal libro dell’Apocalisse 5,1-8

E vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo. Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo. Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli».

Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l’Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno un’arpa e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi.

MEDITAZIONE

Nella visione domenicale, ricordiamo, Giovanni, dopo la celebrazione eucaristica, va in estasi e diventa forte la voce di Dio:   Vieni quassù (che stai a fare laggiù?)… devo mostrarti delle cose… (Ap 4,1). L’invito per noi a lasciarci “trascendere” da Dio, cioè a vedere le cose dal suo punto di vista, come dall’alto, da una angolazione spirituale distogliendoci un poco da esse… Vedere le cose, nella preghiera, belle e brutte della vita, spostandoci un po’ dall’alto…

Il contesto storico della preghiera estatica di Giovanni, non è un ambiente calmo e tranquillo di autotrascendenza, anzi avviene in tempo di forti persecuzioni e scontri comunitari interni molto violenti; è Dio che porta per mano l’autore dell’Apocalisse a fare una esperienza interiore – piena di simboli (ebraici e pagàni) – che possano aiutare Lui e il Gruppo di ascolto (coloro per cui ha scritto) a vivere le vicende storiche alla luce di Cristo morto e risorto. Ricordiamo l’annuncio iniziale e finale dell’apocalisse: Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio (l’Archetipo) e la fine (la conclusione da raggiungere) (Ap 22,13)… Colui che è,  che era e che viene, l’Onnipotente (Ap 1,8): il Signore è storicamente da sempre prima di noi e anche sarà dopo di noi, siamo stati creati a Sua Immagine e chiamati a diventare come Lui: morti e risorti. Per cui l’Apocalisse è un grande annuncio Kerigmatico fatto al nostro cuore di vivere prendendo coscienza della grandezza di Dio, del Suo essere Creatore della vita e Redentore dalla morte, l’Onnipotente.

Sul trono di Dio, con tutta la sua bellezza e la sua liturgia che si svolge intorno, che ricordiamo indica la bellezza della Presenza di Dio e che la vita cristiana è comunitaria e questo rafforza il nostro cammino, sta uno che ancora è indefinito: e vidi sulla destra di Colui che era seduto sul trono un rotolo scritto dentro e sul retro sigillato (Ap 5,1). Colui, che poi è il Signore, lo si conoscerà progressivamente sia nei suoi aspetti enigmatici (fatto di aspetti addirittura contraddittori), sia sul piano della Misericordia, della grazia e della salvezza.

Comunque il rotolo (o libro) esige di essere letto, ma è completamente inaccessibile; è scritto dentro, sul retro e fuori, non c’è più spazio per aggiungere nulla, non ci sono più spazi vuoti: tutto quello che riguarda l’umanità, e la sua storia, è determinato completamente e con esattezza. Ne deriva una pressione fortissima verso la lettura, per comprendere il senso delle vicende umane. La storia, la nostra storia, in realtà non è già scritta in un destino oscuro… Dio vive e vede la storia come un eterno presente, ed esprime su di essa un giudizio valutativo che è sempre “azzeccato” in quanto Dio. L’uomo vorrebbe essere il protagonista della storia o della sua stessa storia, ma si accorge che  non riesce ad esserlo, l’uomo non ha il dominio attivo sulla storia e sulla propria storia almeno in senso pieno, anzi ci troviamo ad un certo punto, nel testo, davanti alla scena celeste drammatica; il pianto dell’autore Giovanni è copioso, intenso, prolungato e costituisce il culmine emotivo della situazione negativa. Quale oggi la mia situazione negativa? Questa accentuazione sul testo corrisponde sia alla presa di coscienza di tutta la vicenda umana, dei suoi interrogativi, delle sue aspirazioni e contraddizioni, sia al vuoto provocato dallo smarrimento dell’uomo che cerca invano di dare un senso alla sua esistenza e ai fatti di cui è testimone e protagonista, il senso della storia rimane chiuso nella trascendenza… L’umanità non è in grado spesso di dare risposta alla domanda esistenziale che spesso poniamo davanti a certi eventi e situazioni: perché succede questo? Perché è così….? Dove ho sbagliato? Dove c’è stata la causa…?

Se non siamo figli di un destino oscuro, allora siamo Figli di Dio in Cristo morto e risorto, cioè: abbracciamo umilmente la drammatica posizione umana di non saper dare una risposta a tutto… e aprirci al mistero luminoso di Dio che splende in Cristo morto e risorto! Mettere nelle mani di Dio quello che non va, ciò che non possiamo cambiare, ciò che ostinatamente ci fa male ma non possiamo farci niente; mettere nelle mani di Dio, con fiducia, i drammi della nostra storia con la speranza certa che – come apocalisse afferma – il Signore ha già vinto! Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli (Ap 5,6).

Ci aiuta un brano tratto dal Vangelo di Luca, dove una lettura più profonda ci apre e ci aiuta all’atto di fede più grande: Gesù vede ciò che succede, Gesù sente il pianto disperato, Gesù ha compassione, Gesù tocca la morte e da essa né trae una vita rinnovata; rileggiamolo. In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». 15 Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre (LC 7,11-15).

Il gruppo di ascolto allora deve poter accettare insieme a Giovanni che l’umanità non è capace di dare un senso – o meglio il senso – della vita. Ogni volta che noi uomini e donne di ogni tempo vogliamo dare un senso alla nostra storia, falliamo clamorosamente nel momento in cui ne lasciamo Dio fuori… Allora non comprendiamo…

Siamo chiamati con l’autore dell’Apocalisse e il gruppo di ascolto ad avere l’umiltà per accettare che: non possiamo dare una spiegazione al senso della vita spesso e volentieri, che questo dramma però, se vissuto nella fede comunitaria, ci fa fare un passaggio importante… Colui che sedeva sul trono non è più una figura generica, ma ha un aspetto di un Agnello come immolato (sgozzato, martorizzato, assassinato) ma ritto in piedi perché risuscitato. Un simbolo reale e contraddittorio: l’Agnello possiede la pienezza della forza aggressiva messianica (sette corna), necessaria per combattere e vincere le forze del male; possiede anche la pienezza dello Spirito (sette occhi), che viene inviato agli uomini per raggiungerli con la pienezza dei suoi doni. Ma questa vittoria l’ha conquistata con la forza della debolezza: maltrattato non si lasciò umiliare e non apri la sua bocca: era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non apri la sua bocca (Is 53,7). Spunto ispiratore, apre l’immagine dell’agnello pasquale ucciso, mangiato e il sui sangue viene utilizzato sugli stipiti delle porte (Es 12,1-27); globalmente costituisce il simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Nel quarto Vangelo, il Battista riferendosi al Gesù che passa dice: ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29).

L’Agnello già si trova in mezzo al trono, occupa cioè una posizione centrale nel governo di Dio sulla storia. C’è stato perciò un movimento che ha portato Gesù Cristo a essere l’Agnello al livello del trono: è stata la sua vittoria sulle forze ostili riportata mediante la passione e la morte e quindi poi la resurrezione. L’Agnello perciò diventa il responsabile unico del rotolo: Cristo che ha sofferto, è morto ed è risorto è l’unico che può dare un senso alla  vicenda umana.

La sofferenza, la morte e la resurrezione di Gesù, è una unica realtà, che non rimane soltanto un evento storico temporale riguardante quei tre giorni famosi di duemila anni fa circa, ma ci raggiunge illuminando e dando un senso alla nostra sofferenza, alla nostra morte e aprendoci alla resurrezione.

Perciò nonostante il pianto drammatico della non comprensione della storia con le sue sofferenze e la morte, la fede rafforzata nella e dalla comunità cristiana, diventa possibilità di guardare avanti perché: è l’Agnello immolato che vince, perché è il sacrificio, vissuto in Dio, che ci renderà la vittoria!

Le preghiere dei santi, che vengono accettate da Dio che le “inala” come l’incenso, ci apre con speranza e fiducia all’opera del Cristo agnello rispettandone i suoi tempi e le sue modalità: l’atto di fede sta proprio nel credere che Dio già sta operando nella storia umana, nella nostra storia, grazie alla nostra preghiera incessante… ma nell’accettare che Dio ha la visione completa della storia e della nostra storia e, sa come e quando intervenire e, in che modo farlo.

Nell’Agnello la possibilità di comprendere la storia umana e di salvarla. Ecco perché Paolo VI amava dire: Tu, Cristo, mi sei necessario!


Una voce, la porta e il trono.

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Dal libro Apocalisse 4,1-7.

[1]Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito. [2]Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c’era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. [3]Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono. [4]Attorno al trono, poi, c’erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo. [5]Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. [6]Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e di dietro. [7]Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola.

Meditazione

Sappiamo che Giovanni, autore dell’apocalisse, entra in estasi durante la preghiera nel giorno del Signore, cioè in domenica. Evidentemente l’autore vive una esperienza interiore e mistica della Eucaristia domenicale appena successa, perciò tutta l’apocalisse sembra una liturgia celebrata tra il cielo e la terra; dove ricordiamo la terra essere simbolo del mondo immanente, quello degli uomini e della natura e, il cielo, simbolo del mondo spirituale, quello di Dio. L’esperienza di Giovanni, seppur personale, è una esperienza comunitaria sia di esseri terrestri che celesti: l’esperienza di Dio è esperienza liturgica comunitaria, domenicale. La nostra “forza” spirituale sta, oltre che nella tenacia di seguire il Signore, nel vivere la Chiesa come comunità.   Siamo chiamati a ripensare a come viviamo la domenica, ma anche se la nostra vita e la nostra fede è domenicale: cioè nella fede del Cristo risorto. Noi spesso pensiamo che quella porta per arrivare a Dio sia chiusa, o che Lui la abbia chiusa o socchiusa. Quante volte sentiamo questa chiusura con Dio! Siamo noi che la chiudiamo nel nostro cuore escludendo Dio dal nostro quotidiano, escludendo la presenza della resurrezione della preghiera dalle nostre “morti” quotidiane. Peggio ancora è il senso di colpa:  che falsamente chiude la porta… Abbiamo bisogno di ricordare: che dopo il  diluvio, c’è sempre l’arcobaleno; che dopo la fuga da ciò che ci schiavizza, c’è sempre il mare aperto per passarlo; che la Presenza di Dio così alta e sublime, come i tuoni e lampi sul Sinai, stavolta non è solo per Mose’ ma è per ciascuno di noi! 

Questa visione inizia con una porta aperta: l’uomo può raggiungere la presenza trascendente della divinità, Dio si fa raggiungibile; l’invito come a Giovanni, fatto a noi è: sali quassù! Cosa stai facendo ancora tra le cose della terra? Sei stato battezzato! Raggiungi Dio, almeno, per ora, nella preghiera e nella meditazione! Sali quassù! 

Nonostante l’assoluta sovranità di Dio indicata dal trono, dalla sua bellezza e da tutto ciò che gli sta intorno come in una liturgia di lode – e quanta poca lode e poco ringraziamento grato c’è nella nostra preghiera – e di attesa, c’è la volontà di Dio di comunicare all’uomo…: ti mostrerò delle cose…  Nel battesimo abbiamo già ricevuto la resurrezione di Cristo in noi, è alla luce di questa. Ne siamo chiamati a vivere e a muoverci, è alla luce della risurrezione che siamo chiamati a vivere i patimenti e la morte, è la resurrezione di Cristo la chiave della porta della comprensione della storia, della nostra storia, di qualsiasi storia esistita o ancora non esistente! La resurrezione di Cristo, presente nella Eucaristia consacrata in domenica, ci dona una luce di speranza contro ogni disperazione, ci invita a salire e trascende ad “un oltre” in cui c’è solo richiesta una respirazione a due polmoni: fiducia e disponibilità! 

Come Dio sancì l’alleanza con Noe’ dopo il diluvio con l’arcobaleno, la volontà di Dio è proprio quella di Un arcobaleno simile che possa segnare e significare un rinnovamento della nostra alleanza con Dio: Dio vuole rinnovare la sua alleanza con noi! Vuole rinnovare il rapporto tra te e Lui: perciò siamo chiamati a diventare un po’ più saggi al suo cospetto. Obiettivo di queste righe è una fede un po’ più matura, che sappia trascenderci nelle cose della vita per vedere alla luce del risorto quanto co accade, pronti a pregare ma anche a ringraziare per quando c’è di buono nella nostra vita. Siamo più portati, purtroppo, a vedere ciò che non va e lamentarci: apocalisse ci apre a questa speranza certa di resurrezione che ci fa vedere quanta bellezza c’è nella nostra vita ! 

Il testo è pieno di simboli, già in questi pochi versetti, presi dall’antico testamento e dalla cultura pagana: questo significa che l’incontro con Dio non è chiuso ad una élite di persone scelte, ma è per tutti, per ogni essere umano di ogni estrazione sociale e situazione della terra… Tutto il testo è in una situazione di celebrazione cosciente di un punto fermo: Cristo risorto e, anche, nell’attesa che la storia si compia (non finisca, ma si compia). Tutta l’apocalisse fino al penultimo capitolo vive nell’attesa: e adesso che succederà? Attendere l’azione di Dio dal cielo, senza aspettarsi nulla di ciò che viene da sulla terra significa: riporre la nostra speranza in Dio. 

Post-Battesimale

Post-Battesimale

16. Febbraio, 2019Senza categoriaNo comments

Il 24 febbraio alle ore 16:00 la parrocchia di San Tommaso Apostolo, organizza un percorso di post-battesimale.  Questo primo incontro avrà come tema : “L’acqua nel battesimo: cosa è successo nella nostra vita”. Un’ occasione di approfondimento e riscoperta del proprio battesimo…. di condividere le nostre esperienze e fare comunità.  Vi aspettiamo anche con i vostri bambini, per i quali è previsto un servizio di baby-sitter (su richiesta) e la merenda per tutti. E’ gradita una conferma i partecipazione e l’eventuale richiesta del servizio baby-sitter per organizzare l’incontro.

Per Info e Prenotazioni:

Ivo: 3316780672

Giovanni:  3337190448

Oppure scrivere alla casella di posta elettronica: battesimisantommaso@gmail.com

 

LA LOCANDINA DELL’EVENTO E’ VISUALIZZABILE IN BACHECA

Il Perdono: il tuo “debito” è condonato

Il Perdono: il tuo “debito” è condonato

15. Settembre, 2017QuaresimaNo comments

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 17 SETTEMBRE 2017 – XXIV DEL T.O.

Vangelo  Mt 18, 21-35

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

COMMETTERE COLPE: IL PECCATO

Gesù ancora una volta sovverte il senso del “peccato” e del “perdono” rispetto all’antico Israele. Per il nuovo testamento il peccato non è una contravvenzione ad una regola di cui bisogna pagare pegno, quanto, detto con la lingua originale greca con cui il testo è stato scritto, il peccato è: amastèsei, hamartèsei, tradotto con commettere colpe, ma alla lettera: MANCARE IL BERSAGLIO!

Al tempo di Gesù i midrash, gli antichi interpreti della legge dell’antico testamento, avevano regolato una quantità di volte per cui il peccato poteva essere perdonato, a seconda del peccato che si commetteva. Ma Gesù sposta questo discorso morale e di colpevolezza alla grandezza e alla gratuità del Regno di Dio – vero “bersaglio” dell’uomo – stravolgendo la matematica del perdono ebraico ed inaugurando una nuova cultura del perdono. Inaugura questo perdono di settanta volte sette che significa sempre e comunque, ma lo fa tornando alla Genesi del perdono, a Genesi capitolo 4, versetto 24: Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settanta volte sette (errore di traduzione sulla bibbia mette settantasette). Cosicché il peccato non è un debito su qualcosa di giusto o sbagliato che commettiamo od omettiamo, quanto invece il non renderci conto del “bersaglio”, del Regno dei cieli: di quanto Dio ci ha dato e di cosa siamo destinatari! Ecco che il peccato non ci fa riconoscere Dio e quanto Egli ci ha donato… a cominciare dalla vita… come quel Re della parabola creditore di diecimila talenti (che soltanto un re potente può avere). Un talento è circa 6000 giornate lavorative, 10.000 talenti è pari a 60.000.000 di salari quotidiani; per pagare questo debito uno dovrebbe lavorare 200.000 anni senza mangiare… Erode il grande aveva un budget di 900 talenti, tutta la Galilea nel 4 a.C. aveva un gettito fiscale non superiore a 200 talenti… Una cifra esagerata dunque che dà una pallida idea di ciò che Dio mi ha dato. Che cosa mi ha dato Dio? Il Regno dei cieli è il “bersaglio”, l’obiettivo della mia vita? Ci sentiamo in “debito” con Dio?

LA COMPASSIONE DEL RE

Non era ne usanza ne legalità, neanche per un Re, al tempo di Gesù nell’Impero romano: vendere le persone o percuoterle… se non nel caso dell’usuraio, anche oggi esistente… nel caso di debitore. Allora la violenza di cui era destinatario il debitore della parabola non è un aspetto legale per ripagare il debito, ma è la qualificazione dell’indegnità umana davanti al dono di Dio, indegnità che a sua volta si fa violenta. La preghiera del debitore è la richiesta esasperata della pazienza, di una Macro Pazienza, di una enorme pazienza che soltanto Dio può avere. Il debitore – illude e si illude (come il peccato) – si impegna a restituire, a riparare ma, la sorpresa grande è il condono totale da parte del Re. Mosso a compassione è una frase forte, Dio muove le sue viscere materne, gli facciamo una pena infinita con i nostri sensi di colpa e di espiazione. La sua passione fa compassione! Cerco un modo per espiare il mio peccato oppure mi rimetto alla misericordia di Dio che realmente mi cambia la vita? Che rapporto ho con il “senso di colpa”?

LA RISPOSTA DEL CONDONATO AI SUOI DEBITORI

Il debitore del Re, condonato per compassione, suo malgrado aveva dei debitori che lo pregavano allo stesso modo di come lui pregava il Re quando era debitore: abbi pazienza con me e restituirò. Ma lui non decide di fare come il Re che gli ha condonato, quanto invece di mandare in prigione i suoi debitori. Il perdono non nega la realtà del male. Lo suppone; ma proprio in esso si celebra il trionfo dell’amore gratuito e incondizionato. Un amore che non perdona non è amore. Non perdonare significa “mettere in prigione”, non perdonare è farla pagare a chi ci fa o ha fatto del male, fosse anche la “prigione” dell’indifferenza… e’ una condizione interiore il perdono che, sapendoci perdonati da Dio, proviamo compassione per chi ci fa del male e non rispondiamo al male con il male, non imprigioniamo l’amore anche laddove non è possibile riconciliarsi: ma se il fratello torna e chiede perdono: il perdono gli è dovuto! Il perdono gli è dovuto! Abbi pazienza con me! Sappiamo perdonare chi ci chiede perdono?

PERDONARE DAI NOSTRI CUORI COME IL PADRE

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. In questa frase c’è tutto l’amore ricevuto e donato nel per-dono. Il perdono è la vittoria costante dell’amore, la vittoria di Dio nella nostra vita per la nostra fede autentica e credibile. La comunità fraterna nasce nel perdono reciproco: ognuno perdona come è e, perché, è perdonato. Se non vivo da fratello non vivo da figlio e, se non vivo da figlio: sono morto. Il peccato porta alla morte perché è l’amore è di Dio, anzi Dio è amore. Se continuamente dell’altro ricordo il suo errore, il perdono è davvero la peggior vendetta. Se il Signore ricorda le colpe, chi potrebbe più respirare (Sal 130,3).

Se non riesco a perdonare cosa devo fare? Invece di prendermela con l’altro, considero che è un peccato mio di cui chiedo perdono a Dio. Sapere questo cambia già il mio atteggiamento con l’altro: penso ai miei “diecimila talenti” di debito di cui Dio mi fa grazia, non ai cento denari che l’altro mi deve. Perché: l’amore, l’amicizia, la familiarità, la compagnia e quant’altro ci fa bene nella nostra vita, non si compra con il nostro fare, tanto meno con i nostri denari; cosi come il perdono non si ottiene con l’espiazione fatta di preghiere, atti di elemosineria e quant’altro: quanto invece prendendo coscienza dell’amore di Dio

CRISTO ESPIATORE HA PAGATO IL NOSTRO DEBITO

I mio, il tuo peccato: è espiato perché Dio ha mandato il suo Figlio a morire in Croce per noi. Lo “aguzzino” della parabola, che si chiama “morte”: si è abbattuto su Cristo per redimerci: felice colpa, che merito un così grande salvatore, felice colpa! Così ci viene annunciata la Pasqua nella notte santa. E se Cristo è morto per espiare i nostri peccati e liberarci dall’aguzzino della morte, chi siamo noi per tenere in “prigione” l’amore che scaturisce nella sua realtà più profonda, piena e credibile, nel perdono? Ma ci sentiamo in debito con Dio? Il Suo Regno da senso alla nostra vita?

 

La cultura della Riconciliazione

La cultura della Riconciliazione

8. Settembre, 2017News, QuaresimaNo comments

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 10 SETTEMBRE 2017 – XIII DEL T.O.

Vangelo   Mt 18, 15-20

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

FRA TE E LUI SOLTANTO

Il comandamento dell’amore che Gesù annuncia sempre nel Vangelo implica il perdono; poi, se possibile, dal perdono si passa alla riconciliazione. Nella comunità cristiana, L’Evangelista Matteo, dà per scontato che avvengano dissidi, peccati, divisioni e che qualcuno addirittura si metta fuori dalla comunione della Chiesa, deragliando dalla via dei comandamenti… L’insegnamento di Gesù come espressione del comandamento dell’amore, in questo testo, si estende fino a saper assumere il male di colui o colei che ci fa il male per poterlo ricondurre a noi, per poterlo ricondurre a Cristo. Ricondurre a Cristo è la vera Riconciliazione che si esplica concretamente nel dialogo faccia a faccia. Nulla a che vedere con il “chiarimento” – che spesso sa più di processo – di cui oggi tanto il mondo si riempie la bocca, quanto in un colloquio spirituale dove la correzione significa perdono dialogato con parole dette amorevolmente e docilmente, senza rabbia e senza odio… una dialogo che sappia porre domande prima che affermazioni: bisogna ritrovare urgentemente questa qualità di dialogo cristiano, non fatto di asserti ma di apertura a cercar di capire; se ci poniamo, con chi ci offende o fa del male, subito in modo aggressivo, questo dialogo riconciliante cristiano non funzionerà mai!

PRENDI CON TE TESTIMONI POI LA COMUNITA’

La comunità non scomunica il peccatore, ma gli fa capire che già si è posto fuori dalla comunione, in modo che possa tornare. Trattare un peccatore pubblico da pagano non significa escluderlo, quanto invece ricominciare da capo ad evangelizzarlo. Dargli sempre un’altra possibilità! La responsabilità dalla comunità è grande, anzi è sacramentale. La comunione, che in tutti e sette i sacramenti, special modo nell’Eucaristia, è mistero di unità richiede la conciliazione e la riconciliazione. Ciò non significa assecondare tutte le richieste o i desideri di chi devia, quanto invece sempre annunciare nella carità la Verità che è rivelata.

Quello che legherete sulla terra sarà legato nei cieli: la comunità ha questa capacità misteriosa di assumere chi è scelto per il Regno dei cieli. Rompere la comunione con il nostro prossimo, che spesso facciamo per giuste ragioni, a buon motivo, è capovolgere questo messaggio del guadagnare il fratello e la sorella che non sono come te, che non sono come me… che la pensano diversamente da te, che la pensano diversamente da me. La differenza delle idee non può dividere le persone, come spesso succede nelle nostre comunità. Ci si può battere, discutere e anche litigare per le idee, ma senza rompere la comunione; perché la comunione è Divina, è sacramentale, è garanzia della Presenza alta di Dio nella comunità.

L’ammonizione o correzione fraterna ci interpella sulla modalità con cui ci rapportiamo con colui o colei con cui crediamo che sbagli… E se avesse ragione lui, e se avesse ragione lei…? La modalità con cui correggiamo o ammoniamo il nostro prossimo trova almeno una possibilità di essere ascoltati, tanto quanto il nostro intervento è credibile: è fatto con carità e in “punta di piedi”… senza presupporre di aver per forza ragione… Il mio modo di correggere e ammonire il prossimo, è credibile? Mi accorgo che spesso rimango inascoltato o inascoltata perché il mio modo di correggere e di ammonire è “sbagliato”? Nell’ammonire o correggere il prossimo, mi chiedo innanzitutto: Dio come la pensa? Cristo cosa vorrebbe? Ma quanto spesso rompiamo la comunione con il nostro prossimo solo per cose superflue che diventano vere e proprie fissazioni? Non è forse più importante la comunione con il mio prossimo più che fissarmi su ciò che ritengo sia importante?

IL CAPOVOLGIMENTO DELLA RICONCILIAZIONE CRISTIANA

La Riconciliazione è benedizione! Cristo ci dona un modo: parlarne tu per tu, poi davanti a due e tre testimoni e alla fine con la comunità. Oggi nel nostro occidente, dove l’informazione corre sull’onda del secondo, questo modello evangelico è completamente capovolto. Oggi si è fatta della calunnia e della diffamazione, anche mediaticamente, un normale strumento di vendetta pensando che corregga, in realtà incattivisce ancora di più… Siamo nel mondo dove conta l’opinione e non la Verità: e per noi la Verità è Cristo. Siamo in un mondo che chi sbaglia, almeno in modo presunto o sconosciuto, viene subito scomunicato e messo alla pubblica gogna dei mass media, al secondo su internet. Questa gogna e scomunica, metodo completamente contrario al Vangelo, è maledizione, per un cristiano è bestemmia! Bestemmia perché il calunniato non si puo’ difendere e chi è esposto alla gogna non può più redimersi da una etichetta ormai impressa su di lui. Il Vangelo ragiona al contrario perché chiunque può redimersi; la parola REDENZIONE è il contrario della UMILIAZIONE MEDIATICA fatta anche “giustamente” sul livello umano. Quanto è più facile ma quanto più vigliacco è smascherare il nemico in sua assenza! Il Vangelo in un altro passo pone l’accento addirittura su questo: mettiti presto d’accordo con il tuo nemico… prega per i tuoi persecutori… ama i tuoi nemici…

Siamo chiamati a promuovere una cultura della riconciliazione, della tolleranza delle idee diverse, del tenere per noi gli scandali che vediamo senza amplificarli con le chiacchiere anche se fatte nelle stanze più segrete, a scoprire la bellezza della riconciliazione con chi abbiamo dei dissidi anche enormi… E se l’altro non ti ascolta? Sia per te come un pagano: cioè bisogna pregare per lui e testimoniargli di nuovo il Vangelo.

LA BELLEZZA DELLA COMUNIONE LEGATA

Quanto può essere bella la pace con chi non credevamo si possa stare in pace?! L’Eucaristia che celebriamo è vincolo di questo legame con il nostro prossimo. E’ inevitabile che succedano scandali e litigi, è inevitabile avere idee diverse anche su grandi cose… Ma quanto è bello stare insieme nonostante la diversità di vedute! Quanto è belle parlare tu per tu, faccia a faccia – nella carità – con la persona con cui abbiamo litigato o correggerla e ammonirla se è nello scandalo. Quanto è bello vincere le guerre fredde che spesso si istaurano tra le persone sapendo che dove due o tre sono riunite nel Suo nome Cristo è in mezzo a loro! Soltanto allora gusteremo quel pane Eucaristico che tutti unisce, che tutti ci fa fratelli e sorelle, che tutti ci fa figli di Dio e destinatari della misericordia del Padre. Correggere e ammonire significa trasmettere quella misericordia che Dio ha donato a me…Quanto è importante sentirci imperfetti davanti a Dio e al prossimo: perché questo ci riporta al posto che occupiamo nell’ordine delle “cose”… Vi lascio la pace vi do la mia pace, non come fa il mondo, Gesù dichiara nell’ultima cena: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato.

 

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